Intervista Leader a Valeria Fedeli: “Fate rete e siate solidali”

Valeria Fedeli e la sua grande battaglia per le donne. Sul suo sito definisce l’Europa un amplificatore di opportunità. Possiamo dire che è e lo sarà in futuro sempre più per le donne?

Assolutamente si. La dimensione europea amplifica le opportunità di cambiamento per il nostro Paese perché ci fornisce riferimenti culturali e vincoli normativi che vanno nella direzione di una piena cittadinanza delle donne.

Pensiamo, ad esempio, ai profondi cambiamenti che oggi possiamo mettere in campo in materia di prevenzione delle violenze e delle discriminazioni nei confronti delle donne. L’Europa fornisce strumenti di straordinaria importanza per intervenire sui modelli educativi con cui si forma il modo di intendere l’identità di genere e il rispetto reciproco tra generi differenti, e in questo modo è possibile lavorare anche sulla prevenzione delle violenze e delle discriminazioni. La politica europea delle pari opportunità è integrata in tutti i settori e nelle azioni dell’Unione e degli Stati membri, compresa l’azione educativa che si svolge nella scuola, per eliminare gli stereotipi di genere. Anche il semestre di presidenza lettone del Consiglio dell’UE ha inaugurato nuovi impegni per favorire la partecipazione delle donne al mondo del lavoro e la riduzione del gap pensionistico, oltre alla prosecuzione del lavoro per una direttiva sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione. Inoltre, la Lettonia ha firmato a ottobre 2014, durante la conferenza sull’uguaglianza di genere che si è tenuta a Roma, una dichiarazione d’intenti insieme all’Italia e al Lussemburgo (Trio di Presidenza luglio 2014-dicembre 2015) per rafforzare l’azione dell’UE per l’uguaglianza tra donne e uomini e il mainstreaming di genere, cioè la valutazione delle diverse implicazioni per uomini e donne di tutte le politiche e gli interventi economici e sociali. Inoltre, nel programma di lavoro per il 2015 della Commissione Europea viene rimarcato il necessario impegno dell’UE per la promozione dell’uguaglianza di genere nell’area della cooperazione allo sviluppo (specialmente in questo 2015, che è l’Anno Europeo per lo Sviluppo), ma anche all’interno dell’Unione. Sono esempi di un cambiamento che coinvolge tutti gli Stati membri, e sta a noi saper cogliere le opportunità che la dimensione europea offre alla politica.

Il suo impegno per il Made in Italy è stato importante per la salvezza della moda italiana. Pensa che si possa fare qualcosa di più?

Si può e si deve fare di più. Per rafforzare le filiere produttive della moda italiana bisogna fare tre tipi di interventi. Primo: favorire quegli investimenti pubblici e privati che sono in grado di creare crescita e occupazione, come recentemente previsto dal Ministero dello Sviluppo Economico con i fondi stanziati per la promozione dell’export e per la moda italiana, per il 2015. Secondo: investire costantemente sulla formazione professionale, per sostenere l’alta qualità delle produzioni. Terzo: tutelare il “made in” con serie politiche di reciprocità commerciale sui mercati globali, per garantire il principio basilare secondo cui non si può importare in Europa qualsiasi merce, senza alcun obbligo di rintracciabilità delle origini; questo è un problema cruciale, perché lasciare che si possa importare qualsiasi merce, senza alcun obbligo di rintracciabilità, è un danno sia per il nostro sistema industriale che per la sicurezza e l’informazione dei consumatori, dunque anche per la libera scelta consapevole, oltre che per il contrasto alla contraffazione e alla pirateria. Anche in questo la dimensione europea è dunque fondamentale, è la nostra dimensione naturale per costruire una competizione leale e mettere a punto politiche per la crescita, la buona occupazione, lo sviluppo sostenibile, il rispetto dei diritti e delle regole. L’obiettivo del mio disegno di legge per l’istituzione del marchio “Italian Quality”, presentato in Senato nel 2013 e attualmente in corso di esame in Commissione Industria, Commercio e Turismo, è appunto quello di sostenere il commercio estero e la tutela dei prodotti italiani tramite questo marchio collettivo, cioè di proprietà pubblica, applicabile a qualunque settore, ed accessibile su base volontaria; si tratta di uno strumento di politica industriale, utile per recuperare competitività sostenendo, davvero, chi investe in qualità e innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, favorendo le scelte di rientro di imprese oltreché certificando le filiere produttive dotate di certificazione europea e internazionale di qualità. Credo si tratti di una legge necessaria proprio perché il marchio “Italian Quality” assolve alla duplice funzione di fornire al consumatore un’informazione aggiuntiva sul prodotto e di prevenire pratiche fraudolente da parte di produttori e importatori.

Lei è Vice Presidente del Senato e in prima linea per la elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il nostro non è un blog politico ma pensa ci possano essere oggi le condizioni per un primo Presidente donna?

Certamente. Ci sono personalità molto importanti, sia donne che uomini, in grado di esercitare, con responsabilità e competenza, il ruolo di Capo dello Stato. Sono molti gli italiani che si dichiarano favorevoli a una donna Presidente della Repubblica, e anche questo è indicatore di un profondo cambiamento culturale. Il nostro è un Paese che ha eletto, tra i propri rappresentanti, il 30% di donne al Parlamento e quasi il 40% in Europa. La parità di genere è una questione legata all’uguaglianza tra donne e uomini e alla piena valorizzazione delle differenze in un contesto di pari opportunità per tutti. Per questo ciò che da sempre mi sta a cuore è la costruzione di una democrazia paritaria, di un piena e libera cittadinanza fra donne e uomini. Anche in questo senso, vanno valutati positivamente i cambiamenti in corso nella formulazione della legge elettorale: l’impegno, da parte di tutti i partiti che stanno partecipando alla costruzione dell’Italicum, a garantire la rappresentanza di genere, è da considerare un fatto di straordinaria importanza, così come il fatto che diverse regioni siano state in grado di rispettare questo principio nelle proprie leggi. Vorrei ricordare, inoltre, che con la riforma costituzionale è stata prodotta la norma che afferma l’equilibrio tra donne e uomini nelle modalità di elezione delle Camere, e questo è un risultato straordinario per una rappresentanza veramente paritaria. Dalla cancelliera tedesca Angela Merkel all’attuale Presidente del Brasile, Dilma Roussef, dalla neo eletta Presidente in Croazia, Kolinda Grabar-Kitarovic, a Cristina Fernandez Kirchner, Presidente della Nazione in Argentina, sono tanti i Paesi in cui la principale carica dello Stato è stata ed è esercitata da donne, e anche in Italia le condizioni per una scelta di questo tipo ci sono.

Un augurio a Valeria 

Auguro a me stessa di poter contribuire a fare dell’Italia un Paese davvero per donne. Bisogna superare le disuguaglianze nell’accesso al lavoro per le donne e i giovani, in un Paese in cui esiste ancora l’umiliante pratica delle dimissioni in bianco, in cui si fa fatica a concepire la donna come risorsa e si continua a considerare la maternità una sorta di rischio d’impresa. Bisogna poi costruire un welfare che rimetta al centro la persona e le sue peculiarità, e riuscire a contrastare efficacemente ogni violenza o discriminazione contro le donne; su quest’ultimo punto desidero ricordare la Convenzione di Istanbul, che considero la più straordinaria piattaforma di cambiamento culturale e sociale del nostro tempo. Il mio augurio, appunto, è quello di riuscire a mettere fine alle discriminazioni ovunque esse siano, nel lavoro, nella società, nella politica.

Un consiglio ed un augurio a Leading Myself

Consiglio di rivolgersi sempre al cambiamento. Riuscire a intercettare il cambiamento, dedicare le proprie energie all’analisi di come mutano le condizioni di vita e di lavoro, interrogare il futuro sfidando luoghi comuni e pregiudizi, vuol dire già diventare parte attiva di quel cambiamento, vuol dire essere capaci di diventare punti di riferimento nel mondo della cultura e dell’informazione.

Il mio augurio per voi è questo: fate rete e siate solidali.

A cura di Barbara M. @paputtina

 

Valeria Fedeli è Vice Presidente del Senato.

Laureata in Scienze Sociali, è stata segretaria generale dei tessili Cgil dal 2000 al 2010, poi vice segretaria della Filctem, categoria cha ha unito i lavoratori chimici, tessili ed energia. Negli stessi anni è stata anche Presidente del sindacato tessile europeo e dal 2012 è stata vice presidente del sindacato europeo dell’industria, che ha riunito tessili, chimici e meccanici.

Ha contribuito alla definizione delle Linee guida di politica industriale per la competitività e l’internazionalizzazione del Sistema produttivo della moda italiana, partecipando anche al Tavolo per lo sviluppo del Made in Italy. Ha operato, in sede europea, per le politiche di reciprocità tra Europa e Cina e per la lotta alla contraffazione.

Da sempre attenta ai diritti alle libertà e all’autonomia delle donne, è tra le fondatrici di Se non ora quando?, movimento per la costruzione di una cittadinanza piena delle donne.

È stata Vice Presidente di Federconsumatori, dopo trentaquattro anni in CGIL.

É iscritta e militante del PD dalla fondazione, considerando il PD naturale luogo di espressione di quelle culture e azioni che ha sostenuto durante tutta la sua esperienza sindacale e politica.

Dopo essere stata candidata come capolista in Toscana ed eletta senatrice per la prima volta alle elezioni del 24 e 25 febbraio, il 21 marzo 2013 è stata eletta Vicepresidente Vicaria del Senato della Repubblica per il PD con il maggior numero di preferenze pari a 134 voti.

 http://www.valeriafedeli.it/

 

 

 

 

 

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“Un racconto al femminile della leadership”

 

Può piacere o non piacere ma è un fatto che la politica nel XXI secolo sia diventata così: fortemente personalizzata. Incentrata sulla leadership. A Washington, a Mosca, a Parigi, a Pechino. E anche a Roma. Si tratta di una tendenza, d’altronde, che non è spuntata ieri ma che affonda le radici nei decenni del Novecento. Pensiamo alla Prima Repubblica, quando gli italiani votavano Togliatti, Nenni, De Gasperi. Grandi leader. Certamente, però, la novità del giorno d’oggi non può sfuggire: riguarda la centralità assoluta del leader. Addirittura, è attorno alla costruzione di un “racconto” del leader che si sedimenta l’idea di un partito. Anzi, è proprio la “narrazione” fatta dal leader che viene a coincidere con la piattaforma politico-ideale-mediatica del partito. Matteo Renzi, in questo senso, al momento è senz’altro il leader più “forte” (non l’unico, va da sè), nel senso che è colui che meglio e prima degli altri ha saputo costruire un proprio “racconto” dell’Italia, il più persuasivo, il più seducente.

Dentro questo quadro, Renzi ha cercato anche di costruire un “racconto al femminile” della leadership. Federica Mogherini, Debora Serracchiani, Maria Elena Boschi, Marianna Madia, Simona Bonafè, per fare alcuni nomi, sono tutte personalità, ovviamente diverse l’una dall’altra ma tutte accomunate da una forte propensione a “emergere” con la loro – si consenta un termine forse improprio – femminilità. Nel senso che, a differenza di altre esponenti donne del recente passato, non paiono voler imitare il classico modello maschile dell’esercizio del potere. Non sono donne-uomo. Ma alludono invece, con i loro modo di essere ad una specie di “superamento” della distinzione fra leader uomo e leader donna. Vedremo se questa narrazione porterà frutti ma è certo che essa si inserisce a pieno titolo nel più generale “racconto” renziano, elemento-cardine della sua leadership.

Questo è composto di molti ingredienti, di cui possiamo qui richiamare solo alcuni.

Il primo diremmo che è l’ottimismo, cioè il tentativo di seminare nel corpo italiano l’idea che il nostro paese può farcela perché dispone delle necessarie risorse morali e culturali per curare i suoi stessi mali. Ed è fra l’altro abbastanza una novità che un capo del centrosinistra veicoli un’idea ottimistica, dato che molto spesso i leader della sinistra sono apparsi piuttosto inclini al culto della crisi, della catastrofe, dell’incupimento.

Un altro elemento è la velocità, la vera arma con la quale Renzi spiazza l’avversario non lasciandogli il tempo di reagire alla sua iniziativa. Ancora – terzo elemento – l’ansia di spezzare vecchie incrostazioni, rendite di posizione, privilegi, abitudine anacronistiche figlie di un’altra Italia: il vocabolo che identifica tutto questo – la famosa “rottamazione” – è divenuto ormai proverbiale. E infine: il “racconto” di se stesso. Non c’è dubbio infatti che di pari passo con la costruzione di una narrazione “politica” ha proceduto spedita la definizione di una immagine personale molto stagliata,: dall’accento fiorentino ai pantaloni a sigaretta, dalle battute taglienti alla pinguedine sempre in agguato si può dire che – piaccia o meno – l’immagine del premier è molto netta, e unica. Lungo un itinerario molto studiato Matteo Renzi passa dall’atteggiamento da premier al nipotino di Fonzie, e anche questo è un elemento della costruzione di una leadership moderna. Ecco, diremmo che saper raccontare una certa idea del paese e, insieme, una certa immagine di se stesso costituisce il doppio binario di una vera leadership. Il resto riguarda le realizzazioni, le cose effettivamente fatte, i risultati concreti.

Ma questa è un’altra storia e sarà proprio la storia a dire l’ultima parola.

mario5Mario lavia Vicedirettore di Europa.

@mariolavia

Intervista Leader a Monica Parrella

Monica Parrella, direttore generale dell’Ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cosa rappresenta questo incarico per lei e quanti sacrifici ha dovuto fare Monica per raggiungerlo?

Vivo il mio incarico con grande senso di responsabilità e spirito di servizio. Le pari opportunità tra uomini e donne in Italia sono ancora molto lontane dall’essere pienamente raggiunte, come riconosciuto anche da molti organismi internazionali. A volte mi sento schiacciata dall’urgenza di fare il più possibile durante il periodo che ricoprirò questo delicato incarico. Si tratta però dell’esperienza lavorativa più entusiasmante in cui mi sia cimentata e quindi non riesco a leggere le difficoltà che ho incontrato, e sto incontrando, come sacrifici ma come stimoli a fare di più e meglio.

Come spiegherebbe oggi le Pari Opportunità alle nostre lettrici?

A mio parere, la parità di trattamento tra uomini e donne oggi postula non soltanto l’assenza di discriminazioni fondate sul sesso, ma anche la valorizzazione delle differenze tra i due generi. Senza dimenticare che le pari opportunità non sono un tema solo delle donne e che l’equilibrio tra i generi in qualsiasi contesto ( sociale, politico ed economico) è la chiave per uno sviluppo collettivo armonico, sostenibile ed inclusivo. Le pari opportunità sono figlie del senso di giustizia.

Con la nostra rubrica “La quota Azzurra diamo voce anche a “loro”. Pensa che il “traguardo” sia da raggiungere insieme o separatamente?

Tutti i contesti sbilanciati sono conservativi e non innovativi: solo donne e uomini insieme possono costruire un futuro non appiattito su cliche consolidati. Per questo il contributo da parte degli uomini alla costruzione, e soprattutto all’attuazione, di policy di pari opportunità, tema tradizionalmente considerato femminile, non è soltanto auspicabile, ma indispensabile.

Un consiglio ed un augurio a Monica.

Il consiglio: Non prendersi troppo sul serio; L’ augurio: vivere intensamente la propria vita, dal primo all’ultimo minuto.

Un consiglio ed un augurio a LeadingMyself.

Il consiglio: confrontarsi con gli analoghi blog mondiali; L’augurio: contribuire fattivamente a costruire una nuova cultura delle pari opportunità.

A cura di Babara M.  @paputtina

 

Monica Parella Direttore generale nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 2006, ricopre attualmente l’incarico di Coordinatrice dell’Ufficio per gli interventi in materia di Parità e Pari Opportunità del Dipartimento pari opportunità della  Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Laureata con lode in Giurisprudenza presso l’Università di Roma La Sapienza, specializzata  in studi e ricerche parlamentari presso l’Università di Firenze, avvocato e dottore di ricerca in diritto della banca e dei mercati finanziari presso l’Università di Siena, è stata assunta in qualità di dirigente esperta in redazione di testi normativi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2001, con concorso per esami, dopo aver lavorato per cinque anni nel settore normativo dell’area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia.

Autrice di pubblicazioni e  saggi e relatrice in convegni in Italia e all’estero, le sue aree principali di interesse sono i diritti e le pari opportunità, il gender diversity  management, il lavoro pubblico, l’organizzazione amministrativa e l’organizzazione del lavoro. Dal 2013 è Presidente del Comitato Unico di Garanzia della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal 2014 è componente della Commissione nazionale per le adozioni internazionali.

E’ sposata ed ha un figlio di tre anni.

 

 

 

“Il futuro sarà femmina”

Parlare di leadership è come preparare un uovo alla coque: tonnellate di pagine, milioni di ricette e poi viene male lo stesso, troppo cotto o troppo crudo, sempre sbagliato.Ma se devo mettere i miei cinque cents sulla questione, tenderei a semplificare, dicendo che esistono due generi di leadership, la leadership “maschio” e la leadership ” femmina”.

La leadership “maschio” è la più diffusa, si basa sul rispetto della gerarchia, sul riconoscimento di ruoli precisi e ben definiti e sulla asimmetria tra leader e sottoposti che si traduce in autorità (non sempre in autorevolezza). E’ un modello rapido, immediato, assertivo, spesso efficace, ma non ammette la possibilità di errore e critica, pena l’indebolimento della autorità. Quindi alla lunga tende a irrigidirsi, le idee nuove fanno fatica a circolare.Per gli stessi motivi, di solito la leadership “maschio” tende a alimentare strutture “esclusive” (nel senso che escludono) e che facilmente diventano opache: “o con me o contro di me” e “i panni sporchi si lavano in famiglia” sono mantra necessari a nascondere l’errore del leader.

La leadership “maschio” è opaca e convessa.

Al contrario, la leadership “femmina” è collaborativa e consultiva, accogliente e inclusiva e questo facilità la diffusione delle idee. Le gerarchie sono più sfumate e le posizioni più liquide. Per questo genere di leadership l’errore diventa base necessaria per il miglioramento e gestire correttamente l’errore rafforza l’autorevolezza del leader (a prescindere dall’autorità), più della astratta convinzione che l’errore non sia consentito. L’accountability diventa un valore.

La leadership “femmina” è trasparente e concava.

A parte alcuni casi specifici ed estremi, diciamo il comando di una portaerei o di un carro armato sotto il fuoco nemico, la leadership “femmina” dovrebbe essere preferibile, in quanto pur essendo più lenta (il processo decisionale è più lungo), alla fine risulta più rapida nel correggere se stessa, più efficace nel diffondere le nuove idee e, in sostanza, più focalizzata sul processo e sugli obiettivi, rispetto alla leadership “maschio“, troppo concentrata a difendere se stessa.È un vero peccato che invece sia molto più diffusa quest’ultima. In politica come nella maggior parte delle imprese, si tende a privilegiare modelli gerarchici, che alla fine non provano nemmeno a nascondere la loro origine militaresca o familistica/paternalista (che non a caso, sono perfetti esempi di leadership “maschio“).

Peccato, perché il leader “femmina” ha una formidabile qualità, la più importante: adora circondarsi di persone migliori di quanto egli/ella non sia, laddove il leader “maschio” preferisce circondarsi di gregari, comparse, gerarchi e cortigiani per tenere bassa la conflittualità, conflittualità che metterebbe a repentaglio la gerarchia e indebolirebbe l’autorità.

E qui sta il punto: nella società complessa delle reti e del web 2.0, dei social network e della Economia della Conoscenza, le capacità personali da sole non sono più sufficienti: troppe informazioni, troppi collegamenti da gestire e elaborare. Troppo rumore di fondo.E’ in questo scenario che la leadership “maschio” dimostra tutta la sua rigidità. Incasellato in strutture troppo rigide che alla fine lo imprigionano, il leader “maschio” non riesce a definire strategie e politiche efficaci, non è in grado di correggere direzione e tiro con la rapidità necessaria. I suoi sottoposti non sono in grado di aiutarlo. Il leader “maschio” alla fine è un conservatore di se stesso.

E i leader politici o i manager che si circondano di mezze calzette per far meglio risaltare le proprie qualità, i boss che sbattono i pugni sul tavolo e pongono aut-aut per imporre la propria autorità, saranno sempre meno in grado di governare complessità crescenti, informazioni sempre più numerose, problemi sempre più lontani e difficili da risolvere.

Invece è proprio del leader “femmina” costruire un gruppo di “pari”, qualificato e motivato. E tanto più le qualità del gruppo è elevata, tanto più il ruolo del leader appare determinante come orchestratore dei contributi provenienti dal team, in un gioco di confronto e antagonismo il cui risultato è quello di far circolare le idee e governare le dinamiche complesse di un mondo sempre più grande, faticoso e difficile da comprendere.

Insomma, anche se la crisi e i tempi cupi che stiamo vivendo potrebbero far pensare il contrario, “il futuro sarà femmina” e sarà un futuro di comunità da ricostruire, di potenzialità individuali da sviluppare, di idee da mettere a sintesi.

Tempo fa Italo Calvino ebbe a dire “Quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; e questo è comandare ”.

Ecco, la leadership.

 Luca Padovano  

 

LP

Luca Padovano è ingegnere e si occupa di sistemi informativi, il che è sempre meglio di lavorare.

Nei frequenti casi in cui viene accusato di essere uno che vola troppo alto, poco concreto e insopportabilmente velleitario, lui risponde che sì, grazie, però ha anche qualche difetto.

Ha una moglie, tre figlie e due cani e ciò parrebbe senz’altro condizione necessaria, anche se forse non sufficiente, per dimostrare sensibilità alle problematiche dei sistemi complessi.

luca.padovano@gmail.com

 

 

“Un cammino che deve diventare la normalità”

Il primo passo avanti è parlare di persone. Non uomini o donne, ma semplicemente persone. Nel mio lavoro di avvocato, nell’esperienza da parlamentare, nel mio attuale ruolo di sindaco di Prato ho lavorato e collaborato con persone capaci, attive, molto competenti, così come ne ho incontrate altre che non mi hanno particolarmente colpito o con le quali non mi sono sentito di portare avanti dei progetti. A fare la differenza tra le une e le altre ci sono innumerevoli fattori, ma sicuramente non di genere. Se le cosiddette “quote rosa” possono essere un mezzo per promuovere un cambio culturale e di mentalità, sicuramente questo non basta. Sono le condizioni di partenza che devono essere uguali per tutti, riuscendo a permettere alle persone di gestire le problematiche familiari, i figli piccoli, i genitori anziani, senza dover fare rinunce sul lavoro, per esempio. Nonostante le risorse risicatissime, da sindaco ho deciso di non tagliare i servizi di asili nido e scuole. Non solo perché dobbiamo investire e non risparmiare sul nostro futuro, ma anche perché iniziative come il pre e il post scuola, per esempio, permettono ai genitori di mantenere il posto di lavoro o di non usufruire di permessi quotidianamente. Vale per i padri ma, inutile girarci intorno, vale ancora di più per le madri, spesso costrette a scegliere tra lavoro e famiglia. Certo, si potrebbe e si dovrebbe fare di più. Ma se vogliamo che questo Paese cresca potendo contare sui propri talenti, non ci si può permettere che una donna si debba trovare davanti a scegliere tra un figlio e la propria occupazione. Allo stesso tempo non credo che le donne siano necessariamente più brave dei colleghi maschi, ma è certo che spesso devono dimostrare più tenacia e intraprendenza. Quando ho scelto gli assessori che costituiscono la mia giunta non ho pensato a rispettare le quote rosa, a dare una bella immagine politica puntando, magari in maniera forzata, soprattutto sulle donne, ma ho pensato ai profili più adatti per ricoprire determinati ruoli. E il risultato è stato praticamente paritetico, ma senza forzature: con me c’è una squadra compatta di nove assessori, 4 donne e 5 uomini, pronti al confronto costante, a una collaborazione costruttiva per ottenere i risultati che ci siamo prefissi. Smettiamo di stupirci se un manager, un rettore, un assessore è donna. È la semplice normalità.

 

Matteo B.

Matteo Biffoni, 40 anni, babbo di Stefano, avvocato, sindaco di Prato. Ha vissuto sin da giovanissimo la politica e l’impegno sociale con passione. Consigliere comunale dal 2004, nel 2012 vince le primarie per i parlamentari per le elezioni politiche del febbraio 2013, arrivando primo e ottenendo l’elezione alla Camera dei Deputati. In Parlamento entra in Commissione Giustizia. Un anno fa decide di candidarsi a Sindaco di Prato e presenta le dimissioni da parlamentare. Eletto al primo turno, dal 28 maggio 2014 è sindaco. Appassionato di musica, tifoso dell’Ac Prato 1908, Matteo Biffoni ha sempre mantenuto vivo l’interesse e l’impegno per l’associazionismo e il volontariato.