“Una donna sincera è quella che non dice bugie inutili” ( Anatole France)
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“Una donna sincera è quella che non dice bugie inutili” ( Anatole France)
‘La leadership per molte donne resta ancora un miraggio”, leggiamo sull’ultimo numero di Affari e Finanza de LaRepubblica. A rilevarlo è uno studio pubblicato dall’Organizzazione internazionale del lavoro (llo), secondo cui il sesso femminile rimane sotto-rappresentato nelle funzioni dirigenziali… Eppure secondo una ricerca condotta dal Pew Research Center, quando si tratta di leadership, le donne vengono considerate più efficaci degli uomini. Per la maggior parte degli intervistati, infatti, un capo al femminile è in grado di trasformare in meglio il luogo di lavoro’
E questo è solo l’ultimo di una lunga serie di studi tesi a dimostrare che la leadership al femminile migliora l’integrazione interpersonale all’interno dei team e dell’azienda in generale. Vero, falso? In prima battuta, diffido sempre dalle distinzioni manichee fra uomini e donne, giovani e anziani, ariani ed ebrei…, che tendono a degenerare in conflitti basati sul pregiudizio dell’”Us and Them”, per dirla con i Pink Floyd, facendoci dimenticare che siamo tutti quanti persone, esseri umani.
Diverso invece è se si vuole sostenere l’esistenza di un lato “maschile” e di uno “femminile” in ciascuno di noi. In questi termini, da molti anni sostengo che abbia senso parlare di leadership al femminile. Un tema che è stato oggetto di una riflessione nell’ambito del progetto Alice Postmoderna, ripresa e sviluppata anche nell’ambito del Wikiromance Racconti invernali da spiaggia. L’essenza della leadership al femminile, a mio avviso, si identifica con la capacità di Alice di dialogare con tutti i “diversi” in cui si imbatte nel corso delle sue avventure: personaggi bizzarri, animali parlanti esistenti e persino estinti (come il Dodo), creature mutanti come lo Stregatto…
Lo ricordavo in un post dedicato al volume Global Inclusion: “la diversità della Alice carrolliana come dei Nativi Digitali attuali è l’altra faccia della loro singolarità. La coglie bene l’Unicorno che incontrando Alice nel Paese Al di Là dello Specchio commenta: ‘Una bambina? Ma io ho sempre pensato che fossero solo dei mostri favolosi!’. La stessa opinione che hanno gli scientific manager (offline ed online) rispetto a tutti i portatori di differenze. Le organizzazioni tradizionali, nonostante le dichiarazioni di facciata, non cercano individui di talento, personalità originali, ma dei cloni, dei ripetitori razionali di compiti e mansioni. In cambio della propria individualità le persone ottengono la sicurezza derivante appunto dalla omologazione di tutti a codici di comportamento chiaramente definiti e sempre uguali; anche i prodotti che queste organizzazioni propongono al cliente generano questo senso di sicurezza”.
La leadership di Alice al contrario è quella che nei termini dello Humanistic Management definiamo “convocativa”, fondata sul suscitamento dell’iniziativa discorsiva dell’altro, a partire dal riconoscimento di principio della sua autorevolezza in quanto altro.
E’ dunque una leadership basata sull’empatia. Sarà utile a questo proposito ricordare la distinzione fra la razionalità dello Humanistic Management e la razionalizzazione dello Scientific Management. “La razionalizzazione – afferma Edgar Morin – innanzi tutto accorda il primato alla coerenza logica sull’empiria, tenta di dissolvere l’empiria, di rimuoverla, di respingere ciò che non si conforma alle regole, cadendo così nel dogmatismo. Del resto è stato notato che c’è qualcosa di paranoico che è comune ai sistemi di razionalizzazione, ai sistemi di idee che spiegano tutto, che sono assolutamente chiusi in sé ed insensibili all’esperienza. Non è un caso che Freud abbia usato il termine di razionalizzazione per designare questa tendenza nevrotica e/o psicotica per cui il soggetto si intrappola in un sistema esplicativo chiuso, privo di qualsiasi rapporto con la realtà, pur se dotato di una logica propria. In qualche modo la grande differenza tra razionalità e razionalizzazione è che l’una è apertura, l’altra è chiusura, chiusura del sistema in se stesso. Vi è una fonte comune della razionalità e della razionalizzazione, cioè la volontà dello spirito di possedere una concezione coerente delle cose e del mondo. Ma una cosa è la razionalità, cioè il dialogo con questo mondo, e altra cosa è la razionalizzazione, cioè la chiusura rispetto al mondo”.
Una puntuale conferma delle parole di Morin la troviamo in Wonderland nella descrizione che Lewis Carroll fa della Regina Rossa, massimo emblema del modello Comando e Controllo cui Alice si ribella. In un sito edicato al “Narcissistic Personality Desorder”, un topic intitolato Lack of Empathy: The Queen of Hearts From Alice in Wonderland così recita:
“As Lewis Carroll described her in Alice in Wonderland, “The Queen had only one way of settling all difficulties, great or small. ‘Off with his head!’ she said, without even looking round.” The Narcissist is equally blind to the emotions of those around him. Lack of empathy is a defining characteristic of a Narcissist or a Psychopath”.
E, aggiungerei, si tratta di una definizione perfetta di molti Amministratori Delegati e Capi del Personale (uomini o donne che siano) capaci di gestire le persone solo diffondendo il terrore, laddove invece il prendersi cura dei dipendenti dovrebbe essere la loro primaria responsabilità. Ma questo comporterebbe la necessità di confrontarsi con i nuovi modelli della social organization e dell’ intelligenza collaborativa, ovvero di mettere in discussione tutto quanto essi hanno imparato fino ad oggi sul cosa è e come si governa un’impresa.
Eppure prima o poi dovranno arrendersi, proprio come la Regina Rossa e il suo esercito di carte, all’irreversibile avvento delle contemporanee Alici portatrici di una cultura ai loro occhi del tutto aliena. Per salvarsi (e salvare così le imprese che guidano) oggi più che mai è indispensabile che accettino il ricorso ad una razionalità che non si identifichi necessariamente con la scientificità “classica”, che rispecchia unicamente il passato, in cui lo stesso “know” del “know how” è appunto un “known”, un saputo e non un sapere dischiuso al futuro (cfr Premessa al Manifesto dello Humanistic Management).
Marco Minghetti è Associate Partner di OpenKnowledge. Insegna Humanistic Management all’Università di Pavia. Giornalista e blogger per Il Sole 24 Ore, è autore di numerosi volumi, sia di saggistica che di narrativa. Fra le sue opere più recenti vi sono il libro Intelligenza Collaborativa, EGEA, 2013 (edizione internazionale Collaborative Intelligence, Cambridge Scholars, 2014) e il Wikiromance Racconti Invernali da spiaggia (GoWare, 2014).
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