Francesca Isola, grande protagonista del Tempo delle Donne attraverso il suo teatro ma 10 ragazze, possono davvero bastare?
Innanzitutto, mi fa piacere presentare alle lettrici (e ai lettori) di LeadingMyself le mie dieci ragazze che, in questo momento, se ne stanno lì appollaiate alle mie spalle nella veste di squadra controllo qualità per verificare che le mie risposte siano corrette; gentile pubblico, ecco a voi Franziska, Musa, Libera, Madre Coraggio, Candy, Spavalda, Cassandra, Serena, Espansa e LaDivina. In realtà il numero esatto delle mie ragazze interiori è dodici; il titolo del mio spettacolo è “Dieci Ragazze” un po’ per esigenze di copione e un po’ per dimostrata impresentabilità delle rimanenti due (Coperta che, appunto, vive perennemente rintanata sotto le coperte perché tanto nessuno al mondo la capisce, e Medusa che passa le giornate a meditare atroci vendette ai danni di chi la ferisce). Già da ragazzina avevo intuito che c’era parecchio affollamento di voci dentro di me, ma è stato solo nel 2010 – scrivendo il mio primo monologo “Torno prima o poi” – che le fantastiche 12 si sono presentate ufficialmente, con tanto carta di identità alla mano, raccontandomi chi erano, come vedevano la vita e cosa volevano da me. “Ma chi vi ha chiamate?” E’ stata la mia prima reazione. “Chi vi ha chiesto niente? Non si usa più sostenere un colloquio di selezione prima di essere assunte?” Evidentemente no! Le mie dodici ragazze si erano già prese la loro scrivania all’interno dell’azienda “me stessa” e lavoravano indefessamente giorno e notte per cercare di dirigere la mia vita secondo la loro personalissima vision individuale che, naturalmente, si contrapponeva a quella delle altre undici. Bene! Sarà per questo che le decisioni della mia vita, da quelle più importanti fino alla banale scelta di una di pizza, presentano sempre un alto livello di conflittualità interiore? Fatte queste premesse, la logica risposta alla domanda “10 ragazze posson bastare”? dovrebbe essere SI’!!! Anzi, ci sono dei giorni in cui farei qualunque cosa per ridurre un po’ il “personale” interiore; un prepensionamento magari, un bel percorso di outplacement o, almeno, delle ferie accumulate. Tuttavia, la mia risposta è che non potrei fare a meno di nessuna delle mie ragazze; anzi, se se ne dovessero presentare ancora delle altre, le accoglierò e le prenderò a bordo della mia/nostra vita. Credo che le ragazze interiori siano, per ciascuna di noi, la grande possibilità di essere noi stesse, di vivere tante vite in una e di esprimere quel qualcosa di UNICO che nessun’altro mai potrà esprimere. E non solo; sviluppare familiarità con le mie diverse voci interiori mi ha insegnato a riconoscere meglio quelle di chi mi sta accanto e ha moltiplicato così le mie occasioni di incontro e di relazione. Mica male no? L’importante – secondo me – è tenere sempre ben vigile una sorta di “coordinatrice imparziale” che ascolti tutte le ragazze e si prenda cura dei loro bisogni, ma senza lasciarsene travolgere; in altre parole, a guidare la nostra folle e variopinta nave ci siamo sempre noi (LeadingMyself) ma – ammutinamenti a parte – se, oltre alla rotta giusta, c’è anche una bella compagnia di vecchie amiche sempre pronte a far baldoria … beh, il naufragar ci sarà più dolce (e divertente) in questo mare.
Le principesse di oggi devono essere buone o cattive?
Ehm, questione delicatissima. Cerco di andare per punti. Il primo punto è che – secondo me – oggi non è proprio un grande affare essere una principessa; da Lady Diana a Grace Kelly fino alle sorelle Carolina e Stephanie di Monaco, la principesca vita ci ha mostrato degli spiacevoli effetti collaterali a cui, personalmente, rinuncio volentieri. Quanto alla scelta di campo “faccio la brava o la cattiva ragazza?”, io le ho provate tutte e due e, in entrambi i casi, i risultati sono stati disastrosi. Il mio periodo “brava ragazza”, in cui ho seguito passo passo i preziosi insegnamenti delle fiabe, l’ho trascorso in una sorta di perenne sala d’attesa; attendo il principe azzurro, attendo la grande occasione, attendo il momento giusto, il posto giusto, il lavoro giusto, il clima giusto … e poi attendo anche di essere abbastanza magra, abbastanza bella, abbastanza pronta, abbastanza tutto quello che voi volete che io sia … “tranquilli non c’è fretta, sono solo 40 anni che aspetto, ho le piaghe da decubito, i sogni nel cassetto sono così pieni di polvere che forse si saranno già polverizzati, ma” … non c’è problema, se devo attendere, io attenderò. “Avanti la prossima!!” – “Tocca a me?” – “No, signorina, lei stia BRAVA lì che, quando è il suo turno, la chiamiamo noi”. Eh no, adesso basta! A un bel pezzo del cammin di nostra vita mi ritrovavo ad essere la perfetta “ragazza da favola” che gli altri si aspettavano, e mi sforzavo ogni giorno di seguire le orme di Biancaneve e colleghe per ricevere il premio più ambito da tutti gli esseri umani: essere amata. Sì ma a che prezzo? Arrivata a quel punto, quello che IO mi aspettavo da me mi era ormai totalmente ignoto. E così sono passata alla fase “cattiva ragazza”, eleggendo a mia icona personale la giovane e ribelle Cappuccetto Rosso che “se ho voglia di andare nel bosco io ci vado, ok? E se ho voglia di seguire il lupo io lo seguo, ok?” E, per un po’ è stato bello, quasi inebriante; fare SOLO quello volevo IO, TUTTO quello che volevo IO … ma in realtà stavo solo facendo il contrario di quello che volevano gli altri; ero un’eccellente cattiva ragazza che ancora non aveva il minimo contatto con i suoi reali bisogni, desideri e talenti. E allora via; ho scritto un altro monologo “Quelle brave ragazze”, e la cosa più interessante che ho scoperto è che l’alternativa alla brava ragazza non è la cattiva ragazza, ma la “ex brava ragazza”. E’ come per i fumatori; chi ama fumare non diventerà mai un “non fumatore” ma può senz’altro diventare un “fumatore che non fuma”. E così è anche per noi QBR (QuelleBraveRagazze); io credo che avrò sempre la tentazione procurarmi amore assecondando il prossimo – come da copione di ogni brava ragazza – ma, piano piano, sto imparando a non farlo. Preferisco essere “brava” ad ascoltare e ad assecondare me stessa sviluppando, in questo modo, anche la mia capacità di dare e ricevere amore. E’ un duro lavoro ma qualcuno lo deve pur fare … e quel qualcuno (che ci farà vivere felici e contente) non possiamo che essere noi. Quanto al “per sempre”, questa è un’altra storia.
Per farsi ascoltare, bisogna essere sempre “un’ISOLA fuori dal coro?”
Mmmm, bella domanda … La Divina che è in me sta gongolando nel ricordare il premio che ho ricevuto nel 2013 come “Artista fuori dal coro”. Ebbene sì, io sono la Isola fuori dal coro, ma – tornando alla domanda – non è che io riesca sempre a farmi ascoltare quanto vorrei, soprattutto dal mio cane che è sardo, ha la testa dura, ha dieci/dodici personalità pure lui, e vaglielo a spiegare che deve fare quello che dico io! In ogni caso, non so se si debba stare fuori dal coro per farsi ascoltare, ma so che le persone che – nella mia vita – ho ascoltato con maggiore piacere e attenzione, tenendo la bocca ed il cuore spalancati, in un modo o nell’altro, stavano raccontando una storia che non conoscevo e che mi mostrava una prospettiva nuova del mondo e della vita. C’è qualcosa di cui tutti noi abbiamo voglia e bisogno: di meravigliarci! E chi sta troppo dentro al coro, come fa a destare meraviglia? E poi ci sono cori e cori; c’è il coro del Nabucco che, all’Arena di Verona, mi ha così travolta d’emozione che uno sconosciuto mi ha passato una boccetta di grappa per farmi riprendere, ci sono i cori Gospel che ho sentito ad Harlem in una messa di tre che avrei voluto ne durasse altre tre … e poi ci sono i cori dei luoghi comuni e della lamentele (io vivo a Genova e qui il “mugugno” è quasi un dovere civile) … “e che noia che barba, e l’estate quest’anno non arriva maim ma appena arriva fa troppo caldo, e bla bla bla … e mettiamoci in testa che in questo paese non va bene niente di niente di niente e, se qualcuno osa dire che c’è un altro modo possibile di guardare le cose, noi ci alziamo e ce ne andiamo”. Ecco, io questi cori li multerei con sanzioni altissime perché li considero il vero grande nemico da combattere. Forse esagero, forse è la Cappuccetto Rosso che è in me che mi fa stare più lontana possibile da giornali, TG e messaggeri di sventure vari, ma credo davvero con tutta me stessa che siamo qui per COSTRUIRE qualcosa di bello e che abbiamo tutti la facoltà di farlo, ognuno con i suoi talenti e nel settore che più gli piace; se questo significa stare fuori dal coro, allora ci starò, e farò sempre del mio meglio per farmi ascoltare. Di recente un caro amico mi ha ricordato una frase di Nietzsche: “e coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica”. Ecco, è questo che cerco di fare attraverso il mio lavoro: far sì che tutti possano imparare a sentire la musica. E a danzare.
Un augurio ed un consiglio a Francesca
Auguro a Francesca di essere sempre fiera di se stessa e di sentire sempre più spesso e sempre più forte quella vocina interiore che ride, fa le capriole e grida “wow!!!! Ma che figata è essere me!!!” Le consiglio di dormire di più, di mangiare meno formaggio, di essere un po’ più morbida con se stessa (e, a volte, anche con gli altri) e di tenere sempre a portata di mano l’infallibile rimedio ai momenti un po’ più difficili: “ehi, Franci, passerà!”
Un augurio ed un consiglio a LeadingMyself
Auguro a LeadingMyself e alla sua “mamma” Barbara (che ringrazio per questa intervista) una lunghissima e felice vita, senza nessuna limitazione di iniziative, idee, folli sogni e mirabolanti progetti! Che possa essere sempre uno di quegli altri mondi possibili che – in fondo – tutti noi vogliamo vedere. Un consiglio? Trovare una scusa qualunque per organizzare una grande festa dove tutti coloro che sono passati da LeadingMySelf attraverso la rete, possano incontrarsi di persona e fare questo brindisi: “ad un mondo pieno di persone straordinarie! Salute!”
A cura di Barbara M. @paputtina
FRANCESCA ISOLA Sono una formatrice, autrice ed attrice teatrale; laureata in Filosofia, con un Master in Risorse Umane e uno in Programmazione Neuro Linguistica, da oltre quindici anni mi occupo di Teatro d’Impresa in qualità di FormAttrice, creando progetti volti allo sviluppo delle risorse espressive, comunicative e creative individuali, per conto di importanti aziende, enti di formazione e università sul territorio nazionale. Dal 2010 porto avanti la mia attività di autrice e attrice teatrale, con i monologhi “Torno prima o poi”, “Conflitti”, “Pillole teatrali per ragazze perplesse”, “Aiuto, mi laureo!” e “Quelle brave ragazze”, oltre ai numerosi monologhi scritti su misura per le aziende; nel 2013 ho ricevuto il premio “Un’artista fuori dal coro”. Applausi! Da due anni porto avanti il progetto “Dipende”, spettacolo sulle dipendenze scritto per LILT – Lega Italiana per la Lotta ai Tumori, e messo in scena da un gruppo di meravigliosi ragazzi adolescenti di cui sono innamorata pazza. I miei sogni per il futuro? Parliamone.
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