Ambassadors of merit

Ho avuto l’onore di poter seguire il workshop di IntheBoardroom  ed è davvero bello come concretamente si provi a costruire la leadership femminile del futuro. Tommaso Arenare, che è stato un protagonista di questo blog, lo racconta a modo suo dal suo blog: www.tommasoarenare.com:

In July 2012 Valore D, the Italian association of businesses to support the talent of women, launched “In the Boardroom”, a programme to select and train the best Non-Executive Directors.

In the Boardroom was designed by Valore D, with the support of GE Capital, at the initiative of Linklaters and Egon Zehnder, our Firm. Together with Linklaters, we selected and provided all key faculty members.

In The Boardroom was meant to select and promote Ambassadors of Merit“, ready to change Italy’s corporate governance for the better, as a result of the huge opportunity represented by a super modern law (that came into effect in 2012) fostering gender diversity in the boardroom (read here for the beneficial effects of this law).

Italy is today a positive example of an improving corporate governance in Europe and beyond. Women as a crucial factor of positive change have given such a strong contribution to this that we are well beyond the turning point.

On 20 and 21 November 2015, we celebrated the conclusion of In the Boardroom, which was launched in July 2012. Ever since, it has helped well over 500 talented women prepare for the role of Non Executive Director.

Of those, a significant number are now Non-Executive Directors.

I feel humbled by the exceptional contribution of so many talented women. They have set the example for everyone in terms of dedication, willingness to prepare for roles where now merit and competencies have replaced “word of mouth” as a key to rigorous selection. Women mean merit, competence and better corporate governance. In summary, more women in leadership means huge change for the better.

The next step is now to continue to work to foster the benefits of gender diversity, and diversity at large, also when it comes to executive positions. “In The Boardroom” has been an exceptional factor and its effects will be felt for many years to come.

#TommasoArenareTommaso Arenare

www.twitter.com/tommaso_arenare

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Dietro ad ogni problema, c’è un’opportunità!

Siamo due terapisti (una fisioterapista e uno psicomotricista) e uno psicoterapeuta con un bagaglio di formazione trentennale nei rispettivi campi e il bisogno di raccogliere, analizzare e narrare della propria esperienza lavorativa e relazionale. Abbiamo voluto arricchire i nostri racconti con ulteriori contributi, coinvolgendo altri colleghi, non solo fisioterapisti e psicomotricisti, ma anche terapisti che operano nell’ambito della psicomotricità, della logopedia, della psicoterapia, della musicoterapia e altro ancora.

Abbiamo rivolto loro questionari con domande “aperte” affinché, dalle risposte ed esperienze terapeutiche riferite, emergessero alcune tra le “grandi avventure” di forza e di “resilienza” che molti dei “nostri” pazienti illustrano. Per “resilienza” intendiamo la capacità che ogni persona possiede o apprende per far fronte positivamente agli eventi traumatici o difficili, e per riorganizzare efficacemente la propria vita dinanzi alle difficoltà.

Il desiderio di rendicontare i nostri vissuti, di dare forma, con una sorta di “autobiografia lavorativa”, alla complessa relazione che ci lega ai tanti pazienti conosciuti e seguiti nel corso degli anni, è forse la principale ragione che ci ha motivati a raccogliere queste singole narrazioni in una raccolta, in questo libro. Siamo inoltre fortemente convinti che gli sforzi dei terapisti non siano finalizzati soltanto alla riuscita terapeutica, ma possano incidere, risultando alleati, con gli sforzi di bambini, ragazzi, adulti nell’accrescere la loro capacità a sostenere una disabilità, un trauma, o un problema.

In queste pagine abbiamo voluto rendere noti e illustrare gli “sforzi condivisi” tra paziente e terapista, tra coloro che, curando, si sono curati e, curandosi, hanno curato altri; una reciprocità costruita sia in contesti di conflitto che di armonia, tra difficoltà organizzative e limiti di risorse. L’alleanza terapeutica – riteniamo – si fonda su questo fondamentale scambio, in cui trovare reciprocamente energia e forza di resistere, per porre le basi della cosiddetta “resilienza”. In un incontro autentico tra paziente e terapista, nella condivisione degli affanni, prendendosi cura a vicenda l’uno dell’altro, le sofferenze possono, infatti, trasformarsi in qualcosa di tollerabile o addirittura in serenità, poesia, bellezza e pace. Tale scambio può, a volte, rivelarsi entusiasmante, restituendo a entrambi fiducia e motivazione. 

Il narrare di sé, ancorché più gravoso qualora si tratti di esperienze difficili e traumatiche, è in molti casi anche un’azione terapeutica. La lacerazione può ricucirsi più agevolmente in un contesto familiare e culturale che accetta la persona con la sua ferita, dandole modo di esprimersi. Allora il dolore silente può finalmente trovare voce e rendersi manifesto come una storia che appartiene, che diventa accessibile a se stessi e agli altri. E questa nuova rappresentazione può cambiare il sentimento che si nutre, mutando la vergogna in affermazione della propria dignità.

Riteniamo che, anche quando il raccontare le proprie esperienze di vita non scioglie completamente dal passato, si è comunque percorsa la strada giusta per condividerlo. Dice Lawrence Ferlinghetti “La poesia è ciò che sta tra le righe”. Speriamo che anche nel nostro scritto, “tra le righe”, ognuno trovi le sue risonanze,trovi quanto possa essergli utile ad arricchirne il cammino e la propria resilienza. Noi confidiamo che le alleanze resilienti descritte in questo libro, dove non solo chi si prende cura e chi è curato sono i possibili protagonisti, possano sempre più essere pratiche diffuse.

Come tanti dipinti che circondano il visitatore in una galleria d’arte, in questo libro vengono presentati al lettore racconti sbocciati sul campo di quelle alleanze relazionali che nascono nelle vicende terapeutiche o genericamente di cura. Filo conduttore, è il vasto e nuovo campo dei fattori di resilienza, intesi come le risorse utilizzate da ciascuno di noi per fuoriuscire dai diversi “torrenti in piena” in cui ci getta la vita: la memoria delle nostre origini, la consapevolezza dell’ambiente in cui si vive, la potenza dell’energia personale, l’esperienza delle cadute e della stanchezza durante il percorso; ma anche la grande forza della relazione e dell’alleanza con altre persone, la tenacia nelle avversità, l’intelligenza, l’intuito, il sentire, la saggezza, l’autonomia e l’altruismo; il vedere i valori di fondo, le motivazioni, il toccare con mano la fiducia in se stessi e nel proprio corpo, l’autostima, l’autoefficacia, la tolleranza e la flessibilità; l’adattamento, il sogno, l’immaginazione, la creatività. E, per finire in bellezza, l’abilità di chiedere aiuto, gustando l’umorismo e l’autoironia come ciliegine sulla torta. Pagine utili ai professionisti della cura, ma anche a chi vuole cercare delle strategie efficaci per scoprire che dietro ad ogni problema c’è un’opportunità.

https://it-it.facebook.com/pages/Sensibili-alle-foglie/227830277356389

Renata Azario

Renata Azario è fisioterapista presso l’Azienda Sanitaria Locale di Biella.

 

 

 

BoscoP1020129Giorgio Fogliano è fisioterapista, counsellor, psicomotricista, ippoterapeuta e formatore.

 

 

 

 

 

foto-Gian-Luca-e1413202640919-300x300Gian Luca Greggio è psicologo, psicoterapeuta, supervisore e formatore.

 

 

 

 

 

La semplicità e la passione della leadership femminile

Da sempre gli uomini sentono la necessità di affidarsi ad un’autorità superiore, che sia un Dio o un condottiero, che li guidi nelle scelte quotidiane.

Siamo sempre alla ricerca di un riferimento che ci aiuti a raggiungere i nostri obiettivi: al lavoro, nello sport, nella vita di tutti i giorni si contraddistingue il leader, ovvero quella persona che nel corso della sua appartenenza alla vita di un gruppo, influenza gli altri componenti e, più in generale, le attività che il gruppo svolge o si accinge a svolgere.

La leadership è ancora oggi fortemente connotata «al maschile», si basa infatti su una leadership in stile militaresco: comanda chi ha più potere e le persone che ricevono le direttive sono più preoccupate ad assecondare il capo piuttosto che ad eseguire con dedizione i loro compiti.

Credo che le donne possano trarre grosse soddisfazioni se comprendono che le loro carte vincenti sono la femminilità e la sensibilità che le differenziano dal genere maschile.

Una donna leader non si limita a impartire ordini, riesce a comprendere meglio i disagi delle persone che la circondano tirando fuori solo il meglio da ognuna di loro. Riesce a farsi capire dal gruppo e prende in considerazione gli umori di tutti. Non è un capo supremo, è una leader, una donna che lavora con passione perché il miglior insegnamento è l’esempio.

A proposito di donne meravigliose che hanno saputo trasmettere valori positivi divenendo leader di una comunità intera mi viene in mente lei:

Samantha Cristoferetti

Samantha Cristoferetti è un’ingegnere, aviatrice e astronauta italiana nonché prima donna italiana nello spazio.

E’ appena rientrata dalla missione Futura dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) dove in quasi duecento giorni ha svolto tanti esperimenti scientifici in assenza di gravità. E non solo, in questi mesi Samantha è diventata un vero e proprio personaggio pubblico molto attivo sui social. Ci ha deliziato con le sue foto della terra, con i suoi racconti e le sue impressioni dallo spazio conquistando l’attenzione mediatica tanto da renderla un autentico modello per moltissimi giovani aspiranti astronauti.

All’inizio ci ha incuriosito, poi ci ha definitivamente catturati con la sua semplicità, la sua passione e la sua impeccabile professionalità.

Non dimentichiamoci che per raggiungere il sogno di fluttuare nello spazio Samantha ha studiato tanto, la preparazione l’ha portata a girare il mondo: è stata a Berlino, Tolosa, Mosca e in Texas.

Ha frequentato anche l’Accademia di Pozzuoli dell’Aeronautica Italiana, diplomandosi nel 2005. In questi anni all’Accademia ha prestato servizio come “class leader” e le è stata assegnata la Spada d’Onore per il miglior raggiungimento accademico.

Insomma che avesse la “stoffa” del leader lo si era capito sin da subito !

silvio-affresco-1024x868Silvio Petta

Informatico milanese, felicemente sposato e padre di due bambini, molto attivo sui social fonda nel 2011 la community Superpapà per diffondere in rete il valore della paternità.

Il sito www.superpapa.it vanta numerosi collaboratori da ogni parte d’Italia, la community su Facebook ha raggiunto i 265.000 fans!

Silvio Petta ovviamente è raggiungibile anche su twitter su @superpapa_it

Il vero leader non ha paura di riconoscere i sentimenti

Avere un figlio è un’avventura speciale che ciascuno vive individualmente. Non ci sono manuali né consiglieri che possano sostituirsi alla sensibilità personale.

Ascolto i miei figli adolescenti che discutono di app e di screenshot e mi chiedo quando è successo che ho perso il contatto con la loro realtà. Loro sorridono della mia ignoranza tecnologica e io della loro inesperienza affettiva. Io non so orientarmi anche solo nel linguaggio degli “smanettoni” e loro non sanno parlare di ciò che sentono.

Avere due figli maschi adolescenti vuol dire affrontare un mondo pieno di sottintesi, interpretare felicità o dolore da un inarcamento di sopracciglio. Vuol dire prestare attenzione a ogni sfumatura, perché mai arriverà una domanda diretta, una confidenza spontanea o una richiesta d’aiuto esplicita. Navigare in questo mare agitato del non detto mi ha allenato nell’arte della traduzione dei segni non verbali, spesso sbagliando strada e imparando a non scoraggiarmi.

Qualche anno fa la nostra famiglia si è “allargata”: insieme con la mia nuova compagna è arrivata sua figlia, anch’essa adolescente. «Bene – mi sono detto – con l’allenamento “maschile” alle spalle, sarà una passeggiata!».

In effetti con lei tutto è diverso.

Ascolto le confidenze che mi fa a piene mani, mettendo io stesso dei paletti affinché non diventino troppo intime. La sorreggo quando ritiene di aver subito un torto da una compagna di scuola invidiosa. Le racconto ciò che sono stato alla sua età e come la vita mi ha portato ad affrontare le difficoltà e lei mi ascolta mostrando interesse. La consolo quando l’ansia la divora e non riesce a distinguere paure e realtà. La consiglio quando la sua breve esperienza sentimentale le rende difficile interpretare i segnali maschili. Lavinia non proviene da me ma, come è giusto che sia, da sua madre e da suo padre.

Non posso pensare a lei e al suo futuro come se dipendessero almeno in parte da ciò che anche io ho seminato. Posso sperare al massimo di affiancare sua madre quando da sola non ce la fa, o essere per lei un buon compagno di viaggio per un periodo limitato, fino a quando non avrà spiccato il volo. E posso augurarle una buona vita, cioè di vivere bene con se stessa e quindi con il mondo sociale che le sta intorno.

È una responsabilità enorme orientarsi fra tutto ciò che il mondo oggi prospetta. L’unica bussola è quella di essere solidi e per una giovane donna, tirata da mille lusinghe, è ancora più difficile non perdersi. Lavinia è più capace dei miei figli maschi di ascoltare se stessa e distinguere le mille sensazioni che il suo io profondo suggerisce, di seguire il cuore mettendo in secondo piano la ragione. Le auguro semmai di non dimenticare completamente le ragioni della testa, perché solo l’armonia di ragione e sentimento porta crescita adulta.

La vera sfida del leader è avere la capacità di guardare dentro noi stessi e di vedere ciò che c’è, sia che ci piaccia, sia che non ci piaccia. Solo questa è la partenza per qualunque viaggio e le donne sono più attrezzate per percorrerlo.

Auguro a Lavinia di amare se stessa, ma di non amare solo se stessa. Di essere capace di sostenere le proprie ragioni, di lottare e anche di fermarsi e riconoscere quelle degli altri. Di non aver paura di esplorare mondi nuovi, sapori nuovi, lingue diverse. Le auguro di viaggiare, di essere curiosa e aperta. E poi di aver voglia di tornare là dove tutto è incominciato. Le auguro di avere una mente creativa, di immaginare futuri diversi per sé e per gli altri. Di guardare la vita con la prospettiva del mondo e non della provincia, del paese, del condominio. Le auguro di parlare tante lingue e di comprendere lingue diverse. Di essere seria e divertente, buffona e rigorosa, affascinante e schiva. Di essere sexy, di lasciare che la sua sensualità si sprigioni in ogni momento della vita e della giornata, dentro e fuori dalla camera da letto. Le auguro di non vendersi, né di pensare che tutto si possa comprare. Le auguro di essere una donna adulta e consapevole e, proprio per questo, più vicina agli altri.

Essere giovane non è un merito in sé ma consente di avere tutto per possibilità.

Essere donna aiuta a esplorarle tutte.

 

immagini 130Giampiero Attanasio

Pugliese di nascita e milanese di adozione, ho due figli adolescenti con i quali mi sforzo di abbattere muri mentre invece passo la vita, da architetto, a costruirne. Passata la cinquantina, complice la crisi dell’edilizia, ho ridato fiato all’antica passione dello scrivere, pubblicando nel 2013 il mio primo libro, edito da Federighi, Pierino e il default (la crisi economica rappata a mio figlio), un insolito e divertente manuale di economia e finanza per ragazzi scritto in rima baciata. Poi ci ho preso gusto e nel 2014 è uscito il mio secondo libro, edito da Giraldi, Il perimetro dell’amore (lettera al figlio da un padre assente). Con la potenza di una prosa che viene dal cuore, con l’ironia e la leggerezza delle rime di una lunga suite in rima a ritmo di rap, due monologhi si intersecano, raccontando in modi diversi la stessa vita normale di un uomo che è diventato adulto e poi padre e che vorrebbe condividere con il figlio maschio adolescente le conoscenze emotive che l’hanno portato fin lì. Un libro sui sentimenti, teatrale, ironico e autoironico, drammatico e personale come solo il racconto del mondo interiore può essere. Scritto come una guida immaginaria senza esserlo, come un vademecum per suggerire al figlio come farsi largo fra i meandri della vita sentimentale e affacciarsi al futuro e all’altro da sé con sguardo fiducioso e indulgente. Sapendo, però, che nella vita si impara dalla propria esperienza e non dal racconto di quella degli altri…

Se tutto va bene arriverà il terzo libro… 

Sitowww.gattanasio.it

Marco Gonnesino: “Non guardare più al sesso ma all’individuo e alle sue capacità”

Leadership, capacità di intuire, in un gruppo non organizzato di individui, qual è il bene comune e qual è il modo più vantaggioso per raggiungerlo. Quindi il sesso c’entra poco. Direi nulla. C’entrano di più, molto di più, caratteristiche della nostra personalità che istintivamente ci portano a fare del nostro io il noi. E a farlo accettare agli altri nel modo più naturale possibile. Senza prevaricazioni o imposizioni, nel qual caso non si parla più di leadership ma di usurpazione della volontà comune.

Ora, più che porre l’accento sulla leadership, bisognerebbe porlo sulle “usurpazioni”. Se è vero che la leadership deve essere tanto intelligente da non imporsi, è anche vero che non va neanche surrettiziamente imposta come la mentalità contemporanea suggerisce. Ovvero, se ha un senso quanto detto prima, davvero abbiamo bisogno di quote rosa? In parlamento? Nelle aziende statali? Nei consigli di amministrazione delle società? Si dice che le quote rosa servono a garantire la parità dei sessi in parlamento, visto che le donne sono portatrici di una sensibilità diversa da quella maschile. Va benissimo. Ma siamo sicuri che ad esempio dividere il parlamento tra maschietti e femminucce sia la cosa giusta? Come se fossimo alle scuole elementari (di una volta, peraltro), con il fiocco azzurro e il fiocco rosa! Tra l’altro, per assurdo, rivendicazioni simili potrebbero essere poste anche da tutti coloro con diverse inclinazioni. Perché anche loro sono portatori di una sensibilità diversa. E allora si dovrebbero forse prevedere le quote omosessuali? E di più, anche in quell’ambito ci potrebbero essere rivendicazioni dalle più diverse varianti, ovvero ci potrebbero essere rivendicazioni dagli omosessuali maschi, dalle lesbiche. O, perché no, anche dai transessuali. Perché giustamente anche loro sono portatori di una sensibilità diversa. Quindi la frammentazione diverrebbe la regola, a tutto discapito della sintesi, fondamentale per la leadership. Se questa è leadership, o ricerca di leadership in vista di un bene comune, si dovrebbe inventare un altro termine, perché di certo non si tratta di leadership. Piuttosto si tratterebbe per certi versi di una negazione della stessa, come nel felliniano “Prova d’orchestra”, dove gli orchestrali rifiutano con toni e slogan sessantottini il comando del direttore d’orchestra (“direttore-direttore-noi non ti vogliamo più…”, “la musica al potere, no al potere della musica”) fino a quando una gigantesca palla da demolizioni ristabilisce l’ordine e il direttore riprende il suo lavoro, ahimè tra le macerie…

Dunque una leadership imposta, sia da volontà prevaricatrice che mentalità politicamente corretta, non è una leadership. Non per niente in politica si parla di dittatura, se la volontà è prevaricatrice. Nel secondo caso un termine adatto ancora non c’è, ma di certo in entrambi i casi si tratta di non-leadership. Non rispecchiano gli scopi, le funzioni e gli obbiettivi di un gruppo, di qualsiasi gruppo si tratti, perché nel primo caso si guarda solo al capo, ma anche nel secondo caso, pur se per motivazioni diverse e per di più accettate dalla mentalità corrente.  La corretta funzione di comando però non azzera le differenze e le diversità ma le esalta, non nei limiti ma nei valori. È chiaro poi che la risultante decisionale non potrà accontentare tutti, ma questo è nell’ordine naturale delle cose. Ci sarà sempre qualcuno che rimarrà escluso, o che si sentirà escluso da questo processo decisionale. Anche qui siamo nell’ordine naturale delle cose.

Piuttosto sarebbe più interessante esaminare il perché in un determinato ambito si verifichino determinate situazioni. Perché c’è una predominanza maschile, ad esempio. Con indagini oneste, precise e contestualizzate. Si potrebbe allora scoprire che la maggior presenza maschile in parlamento è dovuta, semplicemente, al fatto che gli uomini si interessano maggiormente alla politica rispetto alle donne. Ovvero, c’è un numero maggiore di uomini che seguono la politica, di conseguenza c’è un numero maggiore che si candida, di conseguenza c’è un numero maggiore di eletti. Punto. Nessuna prevaricazione, nessun ostacolo. Lo so, qualche alfiere del politicamente corretto potrebbe avere da ridire, ma la verità è questa. O davvero vogliamo pensare che oggi, nell’ambito di un partito politico, di destra, centro o sinistra, ci sia davvero la volontà di non candidare donne in quanto donne? Non scherziamo, per favore! Non siamo più negli anni cinquanta, quando era dato per scontato che gli uomini avessero maggiori capacità.

Esaminando però il comportamento di quegli individui che gli anni del dopoguerra li hanno vissuti, mi pongo alcune domande. In quei tempi, farsi visitare da un medico donna non era considerato il massimo, se si voleva una visita fatta con canoni seri. C’erano molti pregiudizi. Ma oggi, quelle stesse persone che avevano simili preconcetti nei confronti delle donne, non hanno nessun problema nel vedere un medico donna o uomo. Non ne fanno più questione di sesso, non fanno più l’equazione medico uomo-capace, medico donna-incapace. Queste persone danno per scontato che tra donna e uomo non ci sia nessuna differenza quanto a capacità. Mentre ai tempi della loro gioventù il loro modo di ragionare era praticamente opposto. Oggi invece quante donne scelgono un medico donna proprio in quanto donna, quindi “maggiormente attenta alle esigenze femminili”? Quante madri preferiscono l’insegnante elementare donna proprio in quanto donna, e come tale “maggiormente capace di comprendere le esigenze di un bambino”? Non parliamo di quante donne avvocato vengono scelte in tribunale in determinate cause solo in quanto donne…

Chi ha pregiudizi, il vecchietto di oggi che si fa tranquillamente visitare, non importa se il medico è donna o uomo, o la tardofemminista che va da un medico donna in quanto donna, o che per i figli vuole un insegnante elementare donna? Chi ha fatto veramente progressi e non fa più discriminazioni, gli adulti di una volta o quelli di oggi?

Qualche piccola domanda politicamente scorretta me la farei, perché la vera rivoluzione sessuale è quella che non guarda più al sesso ma all’individuo e alle sue capacità.

MARCO GONNESINOMarco Gonnesino http://www.marcogonnesino.it/ autore di Psicoanalisi di un’amore.

Poliedrica espressione. Non riesco ad esprimermi in una forma sola.

Quindi pittore, poeta, scrittore… E non solo, sento di poter fare tante altre cose a livello artistico, ad esempio lo scultore… Sì forse è vero, il rischio è quello di disperdere la creatività in mille rivoli. Si sa, a furia di dividere anche un’onda impetuosa rischia di diventare una piccola spruzzatina… Ma non è il mio caso, questo rivolgermi a tante forme artistiche è per me un’esigenza forte. E’ partita dalla plasticità, dal richiamo che hanno sempre esercitato su di me le forme, le linee, in particolare quelle dei visi. Fino a quando ho capito che descrivere un volto a parole non è molto diverso dal disegnarlo o dipingerlo. Basta saper tradurre le proprie pulsioni espressive, trovare l’alfabeto giusto. Anche perché non tutto può essere espresso con una sola modalità artistica, certe cose le puoi dire con un’opera figurativa, altre con una astratta. Altre ancora necessitano della narrativa, o della poesia. In particolare ho notato che, uscendo dalla modalità plastica di espressione, tra narrativa e poesia c’è la differenza che può esserci tra pittora figurativa e astratta. L’arte figurativa è simile alla narrativa, quella astratta somiglia alla poesia.

 

 

Malala Yousafzai, predestinata leader per i diritti civili

La storia di Malala Yousafzai, o più semplicemente Malala, è nota a tutti. L’attivista che si batte per il diritto all’istruzione delle donne pakistane, è diventata, nonostante la sua giovanissima età, un grande simbolo della lotta per i diritti civili.

Ma come ha fatto una giovane studentessa a diventare una delle più importanti leader per i diritti civili?

Alla base del successo di Malala c’è sicuramente l’impegno prematuro. Malala comincia ad interessarsi di politica giovanissima, in un’età nella quale abitualmente l’interesse viene focalizzato in altre attività. L’interesse per la politica la porta presto a lottare per il diritto all’istruzione e altrettanto presto ad iniziare l’attività di blogger, riuscendo a portare all’attenzione del mondo la situazione che sono costrette a vivere le giovani ragazze pakistane del distretto di Swat. Il suo attivismo e il suo lavoro come blogger hanno fatto attirare su di lei l’attenzione, e si sono create presto le condizioni per riconoscere la giovane attivista il ruolo di leader per i diritti civili.

Il ruolo di primaria importanza dell’attività di Malala è stato riconosciuto in primis dai suoi nemici. Malala viene classificata dai talebani pakistani, che si oppongono all’istruzione femminile, come osceno simbolo di infedeltà nei confronti dell’Islam. Nell’estate del 2012 i talebani minacciarono di morte Malala e suo padre, colpevole di aver lasciato la figlia libera di esprimere le proprie opinioni, e il 9 ottobre 2012, in uno scuolabus, Malala viene gravemente ferita da tre colpi di arma da fuoco. L’attentato porta la famiglia di Malala a trasferirsi in Inghilterra. La necessità di trasferirsi all’estero per continuare la propria attività e per salvaguardare la propria incolumità la accomuna a moltissimi leader per i diritti civili e leader politici mediorientali . Dopo l’attentato i talebani hanno continuato ad indicare come necessaria la morte di Malala. Il suo libro, Io sono Manala, è stato bandito dalle scuole pakistane perché ritenuto offensivo nei confronti dell’Islam.

Altro importante riconoscimento è stato quello delle istituzioni internazionali. Oltre al premio nobel per la pace insignito nel 2014, Malala ha ricevuto numerosi premi e onorificenze fra le quali il Premio Sakharov per la libertà di pensiero nel 2013 e sempre nel 2014 la laurea honoris causa in diritto civile dall’University of King’s College di Halifax. Nel 2013 è stata anche inserita dalla rivista Times nella lista delle 100 personalità più influenti al mondo. Le sue battaglie per il diritto allo studio l’hanno portata ad avere numerosi incontri privati con il presidente americano Barack Obama, con la Regina Elisabetta e con l’ex premier inglese Gordon Brown. Ma l’interesse internazionale nei confronti delle battaglie di Malala è uscito dai confini istituzionali. La fondazione di Malala è riuscita ad ottenere numerose donazioni per aiutare le bambine pakistane a frequentare la scuola.

Ma il riconoscimento più importante è quello ottenuto in Pakistan. Dopo l’attentato vi furono manifestazioni di solidarietà in molte città dello stato asiatico e più di due milioni di persone hanno firmato una petizione per il diritto allo studio universale legata all’attività di Malala. Le battaglie di Malala sono servite per riportare l’attenzione del governo centrale pakistano sul diritto universale all’istruzione, non garantito in tutto il territorio nazionale.

A rafforzare la posizione di leadership di Malala vi è la credibilità che l’attivista pakistana è riuscita ad ottenere e a mantenere nonostante la giovane età. Malala è riuscita a portare il proprio impegno oltre all’ambizione personale. Anche durante il Malala day, il giorno del suo sedicesimo compleanno, ha chiesto, parlando alle Nazioni Unite, che la giornata venisse ricordata come la giornata di tutti coloro che lottano per i propri diritti e non come una giornata legata in modo particolare a lei. Malala è riuscita a portare le proprie battaglie anche oltre il risentimento nei confronti dei suoi attentatori, dichiarando più volte di non portare odio o rancore per coloro che hanno cercata di ucciderla e che l’unico suo obbiettivo è quello di continuare la battaglia per i diritti civili in Pakistan, senza nessun desiderio di vendetta.

Impegno, coraggio, audacia, dedizione, combattività, l’amore per la causa e il desiderio di un mondo migliore hanno accompagnato Malala nelle sue battaglie per il diritto all’istruzione, l’hanno resa un simbolo di libertà, una figura di riferimento nel mondo della lotta per i diritti civili e un esempio da seguire.

giaGianluca Baranelli  “di casa su Al freddo e al gelo”.

@BaranelliG.

“Voliamo alto e scommettiamo su noi stessi”

Per parlare di “leadership”, quindi di “guida” ovvero di “conduzione”, e soprattutto di “leadership femminile”, è strettamente necessario discutere anche di “meta” ovvero di “obiettivi”. Perché così come argomentare di “spostamenti” o “viaggi” senza considerare l’elemento “destinazioni” è perlomeno inutile, allo stesso tempo parlamentare di “leader” ignorando il fattore “obiettivo” sarebbe alquanto curioso. Ecco perché, per esprimere che cosa intendo quando metto in gioco questi concetti, ricorro a una sorta di allegoria.

Ci sarà una volta, tra un milione di anni o forse tra cento milioni di anni, una coppia fatta da un uomo e una donna molto speciali, dal momento che si tratterà più precisamente dell’ultimo uomo e dell’ultima donna sulla Terra. Una devastante catastrofe naturale, divertiamoci a pensare a un simpatico meteorite, ha infatti causato la quasi estinzione della specie umana. “Quasi” perché, appunto, resteranno questi due novelli Adamo ed Eva che, invece di essere il primo uomo e la prima donna creati da Dio per il Paradiso Terrestre, saranno gli unici due esemplari di maschietto e di femminuccia sulla faccia di questo pianeta. Succederà che, per peripezie di cui non ci dobbiamo curare adesso, i due scopriranno che quel Paradiso Terrestre esiste eccome e che, raggiungendolo, non solo saranno in salvo, ma incontreranno il Creatore e, se abbiamo fatto trenta facciamo anche trentuno, daranno vita a una nuova, o meglio “altra” stirpe umana. Lui, che per comodità chiameremo “Adamo 2”, ha trovato una mappa per individuare questo provvidenziale Eden dove rifugiarsi con la sua lei, che per pigrizia indicheremo con “Eva 2”.

Innanzitutto, c’è da attraversare un oceano.

Lui: «Ho trovato un motoscafo, a me il timone».

Lei: «Ma io ho la patente nautica, quindi… il timone a me!».

Adamo 2: «Non importa. Patente o no, io l’ho già fatto altre volte. Mi metto io al timone. Sali a bordo e riposati durante il viaggio».

E così fanno. Adamo 2 conduce lo scafo, e pure Eva 2, dall’altra parte dell’oceano.

Poi, dopo l’attraversata, c’è da superare un intero deserto.

Lui: «Ho trovato questo piccolo quad, quindi guido io. Partiamo».

Lei: «Ma io sono più minuta, starò più comoda al posto di guida e perciò lo farò meglio di te, quindi guido io».

Lui: «Però non importa, perché se ci imbattiamo in bestie cattive io avrò il coraggio di investirle per salvare noi, tu hai sempre troppa pietà per tutti. Sali qui a fianco, così posso mettere in moto senza perdere altro tempo».

E così fanno. Adamo 2 guida il quad, e pure Eva 2, al confine opposto del deserto.

Poi, abbandonato quel mare di sabbia, toh, c’è un burrone gigantesco davanti. In basso, si vede chiaro chiaro un fiume di lava.

Lui: «Ho trovato questa attrezzatura da parapendio. Imbraghiamoci, ma sarò io a pilotare».

Lei: «Ma io sento di poter calcolare meglio i venti, credo di avere la sensibilità giusta per un atterraggio morbido che limiterà le nostre eventuali ferite».

Lui: «Però io peso di più e so andare dritto come un fuso, quindi niente storie. Attaccati a me e ci penso io al volo».

E così fanno. Adamo pilota il parapendio, e pure Eva, dall’altro lato del burrone. La lava incandescente è alle spalle.

Poi, dopo quel volo e mille altri spostamenti con mezzi diversi (ma c’è sempre Adamo 2 ai posti di comando), ecco solo un ultimo tratto da fare in macchina. Neanche a dirlo (si tratta tra l’altro di un vecchio modello di Jaguar che lui adora), Adamo 2 non sta nemmeno a discutere con Eva 2, la fa salire addirittura sul posto dietro senza darle spiegazioni e poi mette in marcia il veicolo.

E infine, eccoli davanti all’Eden.

Che, ci crediate o no, ha le parvenze di una villetta della Brianza.

Mentre Adamo 2 parcheggia, Eva 2 controlla il numero civico.

Sì, sono arrivati proprio al Paradiso Terrestre.

Adamo 2 ed Eva 2 suonano il citofono. Pochi secondi e, agile su un paio di pattine, apre la porta di casa e di palesa nientemeno che… Dio.

Il Creatore.

Inutile dilungarsi in descrizioni, è come tutti immaginano Dio: ha pure la proverbiale barba e parla un italiano con accento fiorentino (chissà perché).

Ebbene.

Dio non calcola nemmeno Adamo 2, ma guarda Eva 2 e le dice: «Sono felice che tu sia qui. Questo è il posto dove una donna deve stare».

Poi, mentre la incoraggia a varcare la soglia con un gentile gesto della mano che va a sfiorare la spalla di lei, le aggiunge qualcosa di illuminante.

«Oh, Eva 2, quasi dimenticavo», le sussurra Dio», «se lo desideri, puoi far entrare anche il tuo… autista».

Ecco, con questa allegoria, il mio personale spunto di riflessione sul tema della “leadership”. A volte il “leader” si riduce a essere solo un autista, mentre il vero “valore trainante” è qualcosa che, in apparenza, si fa guidare. E l’attribuzione dei veri significati avverrà solo alla fine dei tempi, quando tutto questo sforzo di vivere avrà raggiunto una qualche meta, un qualche obiettivo.

Post scriptum. Vi lascio un embrione di stimolo anche per il ripensamento del concetto di “quota”, rosa o azzurra che sia. Proviamo, anche solo per gioco, a pensare al concetto di “quota”, appunto, non nell’accezione “orizzontale “ di “parte che spetta alle donne e parte che spetta agli uomini”. Pensiamolo in modo “verticale”: “quota” come “livello di altezza”, un po’ come si fa per gli aerei. Non è già più vertiginosamente divertente? Oppure, rivalutiamolo come si fa per l’ippica, nel senso di “probabilità di vittoria di un cavallo alle corse”. Insomma: donne e uomini, superiamo certe cancrene mentali, voliamo alto e scommettiamo un po’ di più su noi stessi come esseri davvero intelligenti.

paolo mancini bagno d'amorePaolo Mancini, giornalista professionista, è direttore responsabile del settimanale Donna al Top e dei mensili Vero Casa e Rakam (Guido Veneziani Editore). In passato, ha ideato una campagna di comunicazione sul Web per conto di un noto brand italiano attivo nel settore alimentare e ha realizzato soggetti per “mini giocattoli a sorpresa” per una multinazionale dell’industria dolciaria. Ha vinto premi come soggettista, sceneggiatore e regista di alcuni cortometraggi.

Vive, lavora e suona il pianoforte (a volte anche in questo preciso ordine) a Milano.

É autore di Bagno d’Amore (Giraldi Editore), raccolta di 365 vignette umoristiche all’insegna dell’ironia più divertente e del cinismo più sottile. I protagonisti Wilma & Chucky sono rappresentati come quei due simboli che, universalmente, all’ingresso delle toilette pubbliche ci indicano la retta via verso la porta giusta, quella delle “donne” e quella degli “uomini”: le iniziali dei loro nomi, infatti, compongono proprio la parola “WC”. Ed è attraverso la “coppia WC” che viene raffigurato l’incontro-scontro tra l’universo rosa e quello azzurro. La vita a due fa i conti con l’innamoramento, la passione, il fidanzamento, il matrimonio, gli amanti, la convivenza, le feste comandate, le suocere, i figli, i regali, le vacanze, il lavoro, il sesso, le bugie e tutto ciò che in qualche modo nel quotidiano può… “ostacolarla. Una maratona di letture-lampo, per una risata immediata ma anche per uno “stimolo” di riflessione al giorno.

Facebook: bagno d’amore – Paolo Mancini

Twitter: @bagnodamore

“La leadership di Alice”

‘La leadership per molte donne resta ancora un miraggio”, leggiamo sull’ultimo numero di Affari e Finanza de LaRepubblica. A rilevarlo è uno studio pubblicato dall’Organizzazione internazionale del lavoro (llo), secondo cui il sesso femminile rimane sotto-rappresentato nelle funzioni dirigenziali… Eppure secondo una ricerca condotta dal Pew Research Center, quando si tratta di leadership, le donne vengono considerate più efficaci degli uomini. Per la maggior parte degli intervistati, infatti, un capo al femminile è in grado di trasformare in meglio il luogo di lavoro’

E questo è solo l’ultimo di una lunga serie di studi tesi a dimostrare che la leadership al femminile migliora l’integrazione interpersonale all’interno dei team e dell’azienda in generale. Vero, falso? In prima battuta, diffido sempre dalle distinzioni manichee fra uomini e donne, giovani e anziani, ariani ed ebrei…, che tendono a degenerare in conflitti basati sul pregiudizio dell’”Us and Them”, per dirla con i Pink Floyd, facendoci dimenticare che siamo tutti quanti persone, esseri umani.

Diverso invece è se si vuole sostenere l’esistenza di un lato “maschile” e di uno “femminile” in ciascuno di noi. In questi termini, da molti anni sostengo che abbia senso parlare di leadership al femminile. Un tema che è stato oggetto di una riflessione nell’ambito del progetto Alice Postmoderna, ripresa e sviluppata anche nell’ambito del Wikiromance Racconti invernali da spiaggia. L’essenza della leadership al femminile, a mio avviso, si identifica con la capacità di Alice di dialogare con tutti i “diversi” in cui si imbatte nel corso delle sue avventure: personaggi bizzarri, animali parlanti esistenti e persino estinti (come il Dodo), creature mutanti come lo Stregatto…

Lo ricordavo in un post dedicato al volume Global Inclusion: “la diversità della Alice carrolliana come dei Nativi Digitali attuali è l’altra faccia della loro singolarità. La coglie bene l’Unicorno  che incontrando Alice nel Paese Al di Là dello Specchio commenta: ‘Una bambina? Ma io ho sempre pensato che fossero solo dei mostri favolosi!’. La stessa opinione che hanno gli scientific manager (offline ed online) rispetto a tutti i portatori di differenze. Le organizzazioni tradizionali, nonostante le dichiarazioni di facciata,  non cercano individui di talento, personalità originali, ma dei cloni, dei ripetitori razionali di compiti e mansioni. In cambio della propria individualità le persone ottengono la sicurezza derivante appunto dalla omologazione di tutti a codici di comportamento chiaramente definiti e sempre uguali; anche i prodotti che queste organizzazioni propongono al cliente generano questo senso di sicurezza”.

La leadership di Alice al contrario è quella che nei termini dello Humanistic Management definiamo “convocativa”, fondata sul suscitamento dell’iniziativa discorsiva dell’altro, a partire dal riconoscimento di principio della sua autorevolezza in quanto altro.

E’ dunque una leadership basata sull’empatia. Sarà utile a questo proposito ricordare la distinzione fra la razionalità dello Humanistic Management  e la razionalizzazione dello  Scientific Management. “La razionalizzazione – afferma Edgar Morin – innanzi tutto accorda il primato alla coerenza logica sull’empiria, tenta di dissolvere l’empiria, di rimuoverla, di respingere ciò che non si conforma alle regole, cadendo così nel dogmatismo. Del resto è stato notato che c’è qualcosa di paranoico che è comune ai sistemi di razionalizzazione, ai sistemi di idee che spiegano tutto, che sono assolutamente chiusi in sé ed insensibili all’esperienza. Non è un caso che Freud abbia usato il termine di razionalizzazione per designare questa tendenza nevrotica e/o psicotica per cui il soggetto si intrappola in un sistema esplicativo chiuso, privo di qualsiasi rapporto con la realtà, pur se dotato di una logica propria. In qualche modo la grande differenza tra razionalità e razionalizzazione è che l’una è apertura, l’altra è chiusura, chiusura del sistema in se stesso. Vi è una fonte comune della razionalità e della razionalizzazione, cioè la volontà dello spirito di possedere una concezione coerente delle cose e del mondo. Ma una cosa è la razionalità, cioè il dialogo con questo mondo, e altra cosa è la razionalizzazione, cioè la chiusura rispetto al mondo”. 

Una puntuale conferma delle parole di Morin la troviamo in Wonderland nella descrizione che Lewis Carroll fa della Regina Rossa, massimo emblema del modello Comando e Controllo cui Alice si ribella. In un sito edicato al “Narcissistic Personality Desorder”, un topic intitolato Lack of Empathy: The Queen of Hearts From Alice in Wonderland così recita:

“As Lewis Carroll described her in Alice in Wonderland, “The Queen had only one way of settling all difficulties, great or small. ‘Off with his head!’ she said, without even looking round.”  The Narcissist is equally blind to the emotions of those around him.  Lack of empathy is a defining characteristic of a Narcissist or a Psychopath”.

E, aggiungerei, si tratta di una definizione perfetta di molti Amministratori Delegati e Capi del Personale (uomini o donne che siano) capaci di gestire le persone solo diffondendo il terrore, laddove invece il prendersi cura dei dipendenti dovrebbe essere la loro primaria responsabilità.  Ma questo comporterebbe la necessità di confrontarsi con i nuovi modelli della social organization e dell’ intelligenza collaborativa, ovvero di mettere in discussione tutto quanto essi hanno imparato fino ad oggi sul cosa è e come si governa un’impresa.

Eppure prima o poi dovranno arrendersi, proprio come la Regina Rossa e il suo esercito di carte, all’irreversibile avvento delle contemporanee Alici portatrici di una cultura ai loro occhi del tutto aliena. Per salvarsi (e salvare così le imprese che guidano) oggi più che mai è indispensabile che accettino il ricorso ad una razionalità che non si identifichi necessariamente con la scientificità “classica”, che rispecchia unicamente il passato, in cui lo stesso “know” del “know how” è appunto un “known”, un saputo e non un sapere dischiuso al futuro (cfr Premessa al Manifesto dello Humanistic Management).

 

unnamedMarco Minghetti è Associate Partner di OpenKnowledge. Insegna Humanistic Management all’Università di Pavia. Giornalista e blogger per Il Sole 24 Ore, è autore di numerosi volumi, sia di saggistica che di narrativa. Fra le sue opere più recenti vi sono il libro Intelligenza Collaborativa, EGEA, 2013 (edizione internazionale Collaborative Intelligence, Cambridge Scholars, 2014) e il Wikiromance Racconti Invernali da spiaggia (GoWare, 2014).

TWITTER: https://twitter.com/marcominghetti

 

 

La forza delle donne

“Prof, ma perché Dio ha scelto di incarnarsi in un uomo e non in una donna?”

Guardo la mia alunna di terza: ha già nello sguardo tutto l’anelito alla rivoluzione, la sete giovane di chi è pronta a dar battaglia; generazioni di femministe passate e future sono condensate in quegli occhi, istintivamente portati a difendere un valore di cui ancora non conoscono la portata: la femminilità.

“Cioè vuoi sapere perché Gesù era maschio?” chiedo.

“Sì, perché? Insomma, Dio poteva scegliere anche di nascere donna, no?”

Sorrido e vado con la risposta semplice. “Se a quel tempo una donna avesse parlato come parlava Gesù, probabilmente sarebbe finita lapidata nel giro di cinque minuti. Almeno da uomo lui ha potuto predicare per tre anni, prima che decidessero di toglierlo di mezzo”.

Vedo che la risposta non la convince.

E fa bene.

Non convince nemmeno me.

“Insomma sarebbe solo una ragione storica?” chiede, scettica.

Sorrido di più. Brava la mia ragazza.

“C’è un’altra ragione, in verità” aggiungo con fare misterioso.

Lei resta in attesa.

“Questa è la logica del Dio cristiano: scegliere il più debole, perché attraverso lui, risulti ancora più evidente la potenza della sua grazia”.

“Vuole dire che Gesù era debole?” interviene di getto un compagno, già scandalizzato.

“Voglio dire che il sesso debole, al contrario di quanto si dice, è l’uomo. Non la donna”.

È un attimo. Se avessi sparato un colpo in aria avrei attirato meno l’attenzione di quanto non abbia fatto la mia controversa affermazione.

Subito parte il talkshow: da un lato le proto-femministe che fanno il verso ai loro compagni maschi, inorgoglite paladine del girl-power, e dall’altro i sedicenti atei virili, che diventano improvvisamente pii devoti in difesa di un Dio maschio in cui dicono di non credere.

In mezzo a loro ci sono io, che me la rido.

E aspetto. So che finché non avranno dato libero sfogo a tutti i luoghi comuni che conoscono, nessuna delle due fazioni sarà disponibile ad ascoltare qualcosa di nuovo e antico a un tempo. E cioè che uomini e donne sono diversi, e che nella custodia di questa diversità possono insegnarsi qualcosa. Là dove l’uno è debole, è custodito dalla forza dell’altro.

Mi chiamo Giorgio Ponte e come avrete capito nella vita faccio il professore alle scuole medie. Ma prima di questo (e dopo e durante) sono uno scrittore di romanzi.

Un romanzo, a dir la verità: Io sto con Marta!

Che poi è il motivo per cui mi è stato proposto di scrivere qui, sulla donna. Perché, vedete, io le donne le conosco molto bene. Vengo da una famiglia con una linea femminile decisamente prominente: pittrici, cantanti, pasticcere, madri di famiglia, donne forti e all’avanguardia, che uscivano da sole in luoghi e tempi in cui era consuetudine vivere chiuse in casa attendendo di prendere marito. Donne che hanno fatto della loro femminilità la loro arma più grande, difendendola quando non c’era nessun movimento femminista a farlo per loro. Ma che poi, nei movimenti femministi, non si sono ritrovate per niente.

Una lunga dinastia di cui l’ultimo anello sono mia madre e le mie sorelle, più grandi di me.

Loro, specialmente loro, mi hanno nutrito e amato, insegnandomi ciò che spesso a un uomo è precluso (e forse non a torto): la sofisticata psiche femminile.

Così, forte di questo, ho deciso di rischiare e interpretarne una io, di donna. Marta appunto. Mettendo in lei tutta la delicata complessità del suo genere, ma lasciandole dentro qualcosa di me. Marta, mi piace dire ogni tanto, è un personaggio che accomuna tutti perché ama come una donna, ma lotta come un uomo.

Non perché le donne non lottino, anzi. Ma è un modo diverso di lottare, più sottile. Più elegante, forse.

Il modo di Marta è irruente, teso, quasi fisico. Molto maschile.

Eppure la sua arma più grande resta il cuore. È la donna Marta che vince, non l’uomo che c’è in lei. Perché questa è la forza che possiedono le donne. Celata, mite, essa regge il mondo intero, perché non ha bisogno di affermare sé stessa per dimostrare di esistere: la forza delle donne è la capacità di amare, incondizionatamente. Una forza che l’uomo può acquisire con lunghi anni di esercizio, mentre per le donne è istintiva, iscritta nella carne.

E visto che oggi mi viene chiesto di parlare di leadership femminile è su questo che mi pare importante porre l’accento: io sono convinto che la donna, per affermarsi nella società, debba prima di tutto ritrovare se stessa. Deve ricordarsi cioè, cosa la rende grande. La sua forza appunto.

La mia Marta si conquista la sua leadership senza dover far finta di essere ciò che non è. Conserva tutta la sua fragilità, ed è disposta a sacrificarsi, come solo una donna sa fare. Non ha interesse a conquistare nessuno.

E per questo conquista tutti.

Per troppo tempo ci si è cullati nella falsa convinzione che solo privando la donna di ciò che la rendeva tale, la si potesse rendere libera. E allora via le differenze sessuali, via le attitudini personali, via il desiderio di maternità, via tutto ciò che implicasse diversità.

Via la donna, insomma.

Ma io credo che affermare la differenza fra i sessi non sia un atto discriminatorio, quanto un segno di rispetto nei confronti delle persone. Finché le donne continueranno a pensarsi come brutte copie del peggiore esempio di uomo, non faranno altro che alimentare un sistema che non le valorizza.

Allora, se esiste una ricetta per la leadership femminile, sicuramente sta nell’aggettivo che la contraddistingue: femminile.

Amo troppo la donna, per non odiare ciò che il mondo sta facendo di lei. Applaudiamo a libri e film che inneggiano al sadomaso delle casalinghe, alla prostituzione consenziente delle liceali, al mercimonio gratuito delle ragazzine… tutte quelle attività che semplicisticamente un tempo servivano all’altro sesso per additare noi uomini come “porci”, e che oggi vengono applaudite da quelle stesse donne come segno di emancipazione.

Ha senso? Io credo di no.

No, io credo ancora che per conquistare il mondo siamo chiamati non a cambiarci in risposta alle aspettative che quel mondo ha su di noi, ma a cercare di scoprire chi siamo veramente, perché è di quella autenticità che la società ha bisogno.

La conquista della leadership non si può vivere in termini di sostituzione, ma di integrazione. La donna non può sostituirsi all’uomo, ma piuttosto integrare ciò che a lui manca e imparare a vederlo non come il nemico da combattere, ma come l’alleato su cui contare.

Finché il rapporto fra i sessi verrà considerato una guerra, allora da questa guerra non usciranno che vittime.

La forza fisica maschile, la nostra rigidità normativa, non sono caratteristiche da temere, ma su cui fare affidamento. La società infatti ha bisogno di una dimensione normativa esattamente come un bambino ha bisogno di un padre che gli fornisca regole per sperimentare sé stesso.

Ma una norma senza cuore rischia di diventare burocrazia e prigione, come una famiglia senza madre, rischia di diventare un luogo freddo in cui abitare.

Per lo stesso motivo oggi anche il nostro mondo sta diventando un luogo freddo in cui abitare.

Una società, infatti, che non apprezza la bellezza delle differenze fra i sessi, per riflesso non apprezza nemmeno la bellezza delle donne. E senza la bellezza delle donne, questo mondo non è un luogo in cui valga la pena vivere.

Almeno non per me.

A tutte le donne di ieri e di oggi, combattete per difendere la vostra bellezza.

 

giorgGiorgio Ponte ha trent’anni, ha fatto quasi tutti i lavori possibili. Adesso è tutor del corso di scrittura creativa dell’Università Cattolica, insegna alle scuole medie e…IO STO CON MARTA, il suo primo romanzo è il coronamento di un sogno, e l’inizio di una nuova grande avventura.

@giorgio_ponte

https://www.facebook.com/iostoconmarta

Leadership femminile: un racconto di fantascienza auspicabile?

Un tema intrigante che val la pena di scomporre.

Un leader guida un gruppo di persone, secondo la sua personale visione, verso un bene supremo (ecco non per forza sempre così supremo!).

Una leadership femminile quindi implica leader donne guidare un’azienda, una società, perché no l’intera razza umana, verso un bene supremo in salsa femminile. Intrigante visione di matriarcato in evoluzione, tuttavia mi domando se sia possibile. Non essendo un futurista devo supportare la mia riflessione con esistenti analisi di società matriarcali. Due entità famose (spero per il lettore) nella fantasia di molti sono le Bene Gesserit e le Matres Onorate, entrambi facenti parte dell’universo di Dune.

Il primo gruppo è un ordine di stampo monastico che persegue la creazione di un essere perfetto tramite la manipolazione genetica dell’umanità. Facendo si che il sesso sia lo strumento con cui acquisire geni di potenziali maschi dai tratti importanti al fine di migliorare la razza. Il gruppo delle Matres Onorate han fatto del sesso stesso uno strumento di controllo dei maschi. Con questi due esempi torniamo un attimo sulla terra. Una leadership femminile sarebbe veramente differente da una maschile? La teoria della razza vuole che una donna abbia a cura e attenzione maggiore la casa, la famiglia. Idealmente un approccio meno ardito e avventuroso. Esempi di matriarcato moderno si possono notare in Africa dove nelle comunità rurali alla dona è delegata la gestione dell’economia mentre all’uomo l’onere dei lavori pesanti (nel caso estremo la guerra). Molte ONG in Africa preferiscono dare in mano alle donne della comunità il credito per finanziare i progetti considerando che gli uomini son più avvezzi a bere, fare a botte e cercare un caldo rifugio. Se nelle società in sviluppo tale approccio può funzionare nelle società già strutturate maschio centriche il sistema può operare? Il concetto di diversità è tanto intrigante quanto razzista. Ci sono le donne che son diverse, i gay diversi, i diversamente abili diversi, in Africa abbiamo leggi per la black empowerment. Siamo tutti diversi. Perfino tra i maschi etero c’è diversità: ci sono i deficienti e quelli meno deficienti. Addirittura ci sono quelli che non mancano di nulla (quasi una razza rara). Il maschio alpha medio, in salsa corporativa, è cresciuto in una società maschilista. Ha fatto carriera. Ha una brava moglie a casa che cresce i suoi cuccioli, il maschio alpha medio smania di poter metter le mani su qualche brava giovane donna intrisa di diversity. Intendiamoci. Non esistono prove accertate che tra una bella risorsa umana femminile (bella dentro si intende) e una normale risorsa umana, in fase di decisione, il maschio alpha farà distinzioni. Anzi sono certo che la sua propensione egalitaria intrisa di diversity, social responsability, political correctness, lo spingerà a fare la scelta giusta. Ma nel caso che la femmina diversa fosse assunta grazie al maschio alpha per altri valori (oltre all’abilità e alla menzionata bellezza interiore)? Questo quesito è puramente teorico. Ma riprendendo i due esempi di futuro matriarcato vedo due plausibili evoluzioni. Un’evoluzione (oserei dire positiva) in cui le leader femminili hanno una visione cosi amplia del potenziale futuro da pianificare con attenzione e intelligenza ogni passo. Siano esse a capo di un’azienda, una nazione, una organizzazione sociale. In questo scenario si potrebbe avere una vera crescita di leader con, soprattutto, un taglio dirigenziale veramente femminile. Per femminile intendo una donna che gestirebbe con cura, attenzione la sua stessa azienda come gestirebbe una famiglia: quindi meno azzardi e più attenzione ai dettagli. Questa è la descrizione delle Bene Gesserit.

Tuttavia se sulla leadership femminile emergente dovesse estendersi l’ombra del maschio alpha (lo stesso che ha selezionato la giovane, in nuce, leader femminile per la sua bellezza interiore) si porrebbe il tangibile rischio di avere una leadership al femminile che usa alcuni strumenti (nella finzione fantascientifica delle Matres Onorate si menzionava il sesso) come metodi coercitivi di comando. In tal senso un futuro con questo tipo di leadership al femminile sostituirebbe al maschio alpha (con tutte le sue deficienze) la donna Alpha.

Fortunatamente non sono un futurologo ne un sociologo quindi lascio ad altri decidere quale scenario futuro sia più auspicabile: Bene Gesserit o Matres Onorate.

 

IMG_5623Enrico Verga

@enricoverga

Classe 1976. Master in Relazioni internazionale Università Cattolica. Manager. Consulente dei Global shapers (World economic Forum), Analista geopolitico per Longitude ( link http://longitude.it )(mensile Ministro Esteri), Capo horn (mensile sole 24 ore), Libero,  Fatto Quodiano ( link http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/everga/ ), Panorama. Fondatore di Dream Job (magazine di annunci di lavoro per le organizzazioni internazionali) ( link http://www.internationaldreamjobs.com )