“Che ci faccio qui?” avrebbe detto Bruce Chatwin.
Non so se la mia avventura con Permesola, nata nel 2000, possa essere annoverata in una rubrica dal nome tanto impegnativo come Casi di Successo, ma mi fa sempre piacere raccontarla, ora che sono passati quindici anni, nella speranza che possa dare lo spunto a qualche altra donna, viaggiatrice e sognatrice, nel portare a compimento un progetto nel quale crede.
Per passione e testardaggine, ho deciso di diventare giornalista a un’età in cui i miei amici e coetanei avevano già deciso “cosa fare da grande” e lo stavano facendo, più o meno bene. Ma il mondo del giornalismo non era facile nemmeno allora (adesso è diventato un non-lavoro) e dopo un’esperienza di cronaca ed esteri in un quotidiano nazionale mi sono trovata, un po’ per caso, a lavorare per un mensile di viaggi.
Il mio primo lavoro fu un reportage in Borgogna, sulle orme della scrittrice Colette. Viaggiai per dieci giorni nella campagna più bella che avessi mai visto, bevendo vini incredibili, in compagnia di un fotografo che avevo incontrato solo all’aeroporto e che parlava solo francese (che io invece parlo malino). In pratica, un viaggio in solitaria. Molti altri ne seguirono. Venivo spesso mandata da sola a fare reportage in luoghi affascinanti ma nella stagione sbagliata (per esigenze di lavorazione di pezzi che dovevano, invece, uscire nella stagione giusta). Una volta, in gennaio, venni spedita in Corsica. Spiagge deserte, vento impetuoso, paesini spettrali. La redazione aveva prenotato per me un albergo in un luogo sperduto dell’interno. Quando mi presentai al portone, venni accolta da un uomo che sembrava un incrocio tra Zio Fester e Frankestein e che mi disse, con uno sguardo inquietante che, vista la stagione, quella notte sarei stata l’unica ospite dell’hotel.
Ci misi meno di due minuti per riprendermi la valigia e andarmene con una scusa. Ma capii che una donna che viaggia da sola doveva affrontare imprevisti diversi rispetto a un uomo e che qualche strumento adeguato, fino ad allora inesistente, avrebbe potuto essere d’aiuto. Iniziai così a pensare a Permesola, che nella mia mente doveva essere una guida di viaggio al femminile. Internet iniziava a entrare prepotentemente nelle case di tutti, anche nella mia. E mi decisi per una guida online, invece che per una cartacea. Mi comprai un manuale di Dreamweaver (i blog ancora non esistevano) e sera dopo sera, dopo aver messo a letto i bambini, imparai a costruire le mie pagine web, pur essendo totalmente digiuna di grafica e di html. Andai online con qualche paginetta e non sapevo nemmeno io cosa aspettarmi. La risposta mi sorprese. Iniziai a ricevere mail di donne che mi dicevano quanto si sentissero ispirate dalle mie parole, quanto avessero voglia di viaggiare senza trovarne il coraggio. A distanza di molti anni la situazione è un po’ cambiata. Le donne viaggiano molto di più da sole o con le amiche, con buona pace di mariti e fidanzati lasciati a casa. E un po’ (ma ancora troppo poco) anche gli operatori turistici si sono accorti di questo esercito esigente e deciso di viaggiatrici, attrezzandosi per accoglierle. Secondo una ricerca (nemmeno troppo recente) realizzata da Newsweek il numero delle donne che viaggiano da sole è aumentato del 70% in pochi anni. Molte donne lavorano, hanno stipendi adeguati, indipendenza, voglia di esplorare. Molte sono divorziate o single – un fatto socialmente accettato – oppure hanno mariti e figli che lasciano allegramente al loro destino di quando in quando, per concedersi un viaggetto rigenerante.
Certo, viaggiare da sole non è sempre facile. Ci si trova in paesi sconosciuti, circondate da gente estranea: si prenota una camera singola, un biglietto al cinema, un tavolo per uno. Ci si sente gli sguardi degli altri addosso (una sensazione talvolta esagerata, gli altri hanno di meglio da fare che fissarsi su una donna che viaggia). Ma un viaggio in solitaria è un’esperienza da provare, almeno una volta nella vita. È un modo per sfidarsi, scoprire se stesse, imparare a stare in propria compagnia, aprire gli occhi al mondo in un modo diverso. E non è necessario attraversare il deserto o scalare l’Everest per farlo. Si può cominciare, se non lo si è mai fatto, con una giornata di staycasing, un termine inglese ora molto di moda che indica il fare le turiste a casa propria: visitare un museo, un quartiere sconosciuto della propria città o di una città vicina, andare a teatro senza dover cercare disperatamente qualcuno che ci accompagni. Una volta fatto il primo passo, il resto viene da sé e finisce per diventare un’abitudine della quale non si può più fare a meno. Una consuetudine piacevole e gratificante, che lascia un senso di intima soddisfazione e rafforza la propria fiducia in se stesse. Non vale la pena provare?
Daniela de Rosa , giornalista professionista.
Daniela è nata a Milano, vissuto a Venezia e vive a Londra dal 2005.
Ha scritto per Il Giornale di Montanelli, per Dove, Gulliver, Carnet, Epoca, Anna, Elle, Donna Moderna, Weekend Viaggi, Italia Oggi, Diario, per Rai RadioDue, Radio 24. Ha pubblicato diverse guide di viaggio. Ha pubblicato “VivaMilano”, una guida alla sua città d’origine dedicata ai più piccoli e “I disegni di Lea”, pubblicato da Mondadori.
E’ editor di The IT Factor Magazine, un urban magazine in cui giornalisti italiani e inglesi si confrontano su temi comuni.