Leadership, capacità di intuire, in un gruppo non organizzato di individui, qual è il bene comune e qual è il modo più vantaggioso per raggiungerlo. Quindi il sesso c’entra poco. Direi nulla. C’entrano di più, molto di più, caratteristiche della nostra personalità che istintivamente ci portano a fare del nostro io il noi. E a farlo accettare agli altri nel modo più naturale possibile. Senza prevaricazioni o imposizioni, nel qual caso non si parla più di leadership ma di usurpazione della volontà comune.
Ora, più che porre l’accento sulla leadership, bisognerebbe porlo sulle “usurpazioni”. Se è vero che la leadership deve essere tanto intelligente da non imporsi, è anche vero che non va neanche surrettiziamente imposta come la mentalità contemporanea suggerisce. Ovvero, se ha un senso quanto detto prima, davvero abbiamo bisogno di quote rosa? In parlamento? Nelle aziende statali? Nei consigli di amministrazione delle società? Si dice che le quote rosa servono a garantire la parità dei sessi in parlamento, visto che le donne sono portatrici di una sensibilità diversa da quella maschile. Va benissimo. Ma siamo sicuri che ad esempio dividere il parlamento tra maschietti e femminucce sia la cosa giusta? Come se fossimo alle scuole elementari (di una volta, peraltro), con il fiocco azzurro e il fiocco rosa! Tra l’altro, per assurdo, rivendicazioni simili potrebbero essere poste anche da tutti coloro con diverse inclinazioni. Perché anche loro sono portatori di una sensibilità diversa. E allora si dovrebbero forse prevedere le quote omosessuali? E di più, anche in quell’ambito ci potrebbero essere rivendicazioni dalle più diverse varianti, ovvero ci potrebbero essere rivendicazioni dagli omosessuali maschi, dalle lesbiche. O, perché no, anche dai transessuali. Perché giustamente anche loro sono portatori di una sensibilità diversa. Quindi la frammentazione diverrebbe la regola, a tutto discapito della sintesi, fondamentale per la leadership. Se questa è leadership, o ricerca di leadership in vista di un bene comune, si dovrebbe inventare un altro termine, perché di certo non si tratta di leadership. Piuttosto si tratterebbe per certi versi di una negazione della stessa, come nel felliniano “Prova d’orchestra”, dove gli orchestrali rifiutano con toni e slogan sessantottini il comando del direttore d’orchestra (“direttore-direttore-noi non ti vogliamo più…”, “la musica al potere, no al potere della musica”) fino a quando una gigantesca palla da demolizioni ristabilisce l’ordine e il direttore riprende il suo lavoro, ahimè tra le macerie…
Dunque una leadership imposta, sia da volontà prevaricatrice che mentalità politicamente corretta, non è una leadership. Non per niente in politica si parla di dittatura, se la volontà è prevaricatrice. Nel secondo caso un termine adatto ancora non c’è, ma di certo in entrambi i casi si tratta di non-leadership. Non rispecchiano gli scopi, le funzioni e gli obbiettivi di un gruppo, di qualsiasi gruppo si tratti, perché nel primo caso si guarda solo al capo, ma anche nel secondo caso, pur se per motivazioni diverse e per di più accettate dalla mentalità corrente. La corretta funzione di comando però non azzera le differenze e le diversità ma le esalta, non nei limiti ma nei valori. È chiaro poi che la risultante decisionale non potrà accontentare tutti, ma questo è nell’ordine naturale delle cose. Ci sarà sempre qualcuno che rimarrà escluso, o che si sentirà escluso da questo processo decisionale. Anche qui siamo nell’ordine naturale delle cose.
Piuttosto sarebbe più interessante esaminare il perché in un determinato ambito si verifichino determinate situazioni. Perché c’è una predominanza maschile, ad esempio. Con indagini oneste, precise e contestualizzate. Si potrebbe allora scoprire che la maggior presenza maschile in parlamento è dovuta, semplicemente, al fatto che gli uomini si interessano maggiormente alla politica rispetto alle donne. Ovvero, c’è un numero maggiore di uomini che seguono la politica, di conseguenza c’è un numero maggiore che si candida, di conseguenza c’è un numero maggiore di eletti. Punto. Nessuna prevaricazione, nessun ostacolo. Lo so, qualche alfiere del politicamente corretto potrebbe avere da ridire, ma la verità è questa. O davvero vogliamo pensare che oggi, nell’ambito di un partito politico, di destra, centro o sinistra, ci sia davvero la volontà di non candidare donne in quanto donne? Non scherziamo, per favore! Non siamo più negli anni cinquanta, quando era dato per scontato che gli uomini avessero maggiori capacità.
Esaminando però il comportamento di quegli individui che gli anni del dopoguerra li hanno vissuti, mi pongo alcune domande. In quei tempi, farsi visitare da un medico donna non era considerato il massimo, se si voleva una visita fatta con canoni seri. C’erano molti pregiudizi. Ma oggi, quelle stesse persone che avevano simili preconcetti nei confronti delle donne, non hanno nessun problema nel vedere un medico donna o uomo. Non ne fanno più questione di sesso, non fanno più l’equazione medico uomo-capace, medico donna-incapace. Queste persone danno per scontato che tra donna e uomo non ci sia nessuna differenza quanto a capacità. Mentre ai tempi della loro gioventù il loro modo di ragionare era praticamente opposto. Oggi invece quante donne scelgono un medico donna proprio in quanto donna, quindi “maggiormente attenta alle esigenze femminili”? Quante madri preferiscono l’insegnante elementare donna proprio in quanto donna, e come tale “maggiormente capace di comprendere le esigenze di un bambino”? Non parliamo di quante donne avvocato vengono scelte in tribunale in determinate cause solo in quanto donne…
Chi ha pregiudizi, il vecchietto di oggi che si fa tranquillamente visitare, non importa se il medico è donna o uomo, o la tardofemminista che va da un medico donna in quanto donna, o che per i figli vuole un insegnante elementare donna? Chi ha fatto veramente progressi e non fa più discriminazioni, gli adulti di una volta o quelli di oggi?
Qualche piccola domanda politicamente scorretta me la farei, perché la vera rivoluzione sessuale è quella che non guarda più al sesso ma all’individuo e alle sue capacità.
Marco Gonnesino http://www.marcogonnesino.it/ autore di Psicoanalisi di un’amore.
Poliedrica espressione. Non riesco ad esprimermi in una forma sola.
Quindi pittore, poeta, scrittore… E non solo, sento di poter fare tante altre cose a livello artistico, ad esempio lo scultore… Sì forse è vero, il rischio è quello di disperdere la creatività in mille rivoli. Si sa, a furia di dividere anche un’onda impetuosa rischia di diventare una piccola spruzzatina… Ma non è il mio caso, questo rivolgermi a tante forme artistiche è per me un’esigenza forte. E’ partita dalla plasticità, dal richiamo che hanno sempre esercitato su di me le forme, le linee, in particolare quelle dei visi. Fino a quando ho capito che descrivere un volto a parole non è molto diverso dal disegnarlo o dipingerlo. Basta saper tradurre le proprie pulsioni espressive, trovare l’alfabeto giusto. Anche perché non tutto può essere espresso con una sola modalità artistica, certe cose le puoi dire con un’opera figurativa, altre con una astratta. Altre ancora necessitano della narrativa, o della poesia. In particolare ho notato che, uscendo dalla modalità plastica di espressione, tra narrativa e poesia c’è la differenza che può esserci tra pittora figurativa e astratta. L’arte figurativa è simile alla narrativa, quella astratta somiglia alla poesia.