Può piacere o non piacere ma è un fatto che la politica nel XXI secolo sia diventata così: fortemente personalizzata. Incentrata sulla leadership. A Washington, a Mosca, a Parigi, a Pechino. E anche a Roma. Si tratta di una tendenza, d’altronde, che non è spuntata ieri ma che affonda le radici nei decenni del Novecento. Pensiamo alla Prima Repubblica, quando gli italiani votavano Togliatti, Nenni, De Gasperi. Grandi leader. Certamente, però, la novità del giorno d’oggi non può sfuggire: riguarda la centralità assoluta del leader. Addirittura, è attorno alla costruzione di un “racconto” del leader che si sedimenta l’idea di un partito. Anzi, è proprio la “narrazione” fatta dal leader che viene a coincidere con la piattaforma politico-ideale-mediatica del partito. Matteo Renzi, in questo senso, al momento è senz’altro il leader più “forte” (non l’unico, va da sè), nel senso che è colui che meglio e prima degli altri ha saputo costruire un proprio “racconto” dell’Italia, il più persuasivo, il più seducente.
Dentro questo quadro, Renzi ha cercato anche di costruire un “racconto al femminile” della leadership. Federica Mogherini, Debora Serracchiani, Maria Elena Boschi, Marianna Madia, Simona Bonafè, per fare alcuni nomi, sono tutte personalità, ovviamente diverse l’una dall’altra ma tutte accomunate da una forte propensione a “emergere” con la loro – si consenta un termine forse improprio – femminilità. Nel senso che, a differenza di altre esponenti donne del recente passato, non paiono voler imitare il classico modello maschile dell’esercizio del potere. Non sono donne-uomo. Ma alludono invece, con i loro modo di essere ad una specie di “superamento” della distinzione fra leader uomo e leader donna. Vedremo se questa narrazione porterà frutti ma è certo che essa si inserisce a pieno titolo nel più generale “racconto” renziano, elemento-cardine della sua leadership.
Questo è composto di molti ingredienti, di cui possiamo qui richiamare solo alcuni.
Il primo diremmo che è l’ottimismo, cioè il tentativo di seminare nel corpo italiano l’idea che il nostro paese può farcela perché dispone delle necessarie risorse morali e culturali per curare i suoi stessi mali. Ed è fra l’altro abbastanza una novità che un capo del centrosinistra veicoli un’idea ottimistica, dato che molto spesso i leader della sinistra sono apparsi piuttosto inclini al culto della crisi, della catastrofe, dell’incupimento.
Un altro elemento è la velocità, la vera arma con la quale Renzi spiazza l’avversario non lasciandogli il tempo di reagire alla sua iniziativa. Ancora – terzo elemento – l’ansia di spezzare vecchie incrostazioni, rendite di posizione, privilegi, abitudine anacronistiche figlie di un’altra Italia: il vocabolo che identifica tutto questo – la famosa “rottamazione” – è divenuto ormai proverbiale. E infine: il “racconto” di se stesso. Non c’è dubbio infatti che di pari passo con la costruzione di una narrazione “politica” ha proceduto spedita la definizione di una immagine personale molto stagliata,: dall’accento fiorentino ai pantaloni a sigaretta, dalle battute taglienti alla pinguedine sempre in agguato si può dire che – piaccia o meno – l’immagine del premier è molto netta, e unica. Lungo un itinerario molto studiato Matteo Renzi passa dall’atteggiamento da premier al nipotino di Fonzie, e anche questo è un elemento della costruzione di una leadership moderna. Ecco, diremmo che saper raccontare una certa idea del paese e, insieme, una certa immagine di se stesso costituisce il doppio binario di una vera leadership. Il resto riguarda le realizzazioni, le cose effettivamente fatte, i risultati concreti.
Ma questa è un’altra storia e sarà proprio la storia a dire l’ultima parola.
Mario lavia Vicedirettore di Europa.
@mariolavia