In questi anni il grande lavoro da fare è sulle immagini, sulle parole.
«Le parole sono importanti!» urlava uno sconsolato personaggio di Nanni Moretti. L’etimologia è una scienza esatta; quando arriviamo al punto in cui una parola ci sembra non più adeguata, anzi proprio inadatta, all’inizio proviamo un senso di disagio nel pronunciarla, quasi di imbarazzo.
E’ necessario capire bene cosa c’è che non va!
Abbiamo bisogno di un leader
Hanno voltato le spalle al leader
Chi sarà il prossimo leader?
Frasi che si sentono e leggono ovunque. Sembra un mantra, una sorta di esorcismo collettivo per scacciare le disgrazie economiche, sociali, politiche. Ma chi ci crede veramente? E’ ancora possibile pensare che una persona possa, pur in possesso di un fantomatico carisma prendere in carico la complessità che ci circonda?
E poi chi è questo leader tanto evocato?
Dietro la metafora della leadership l’immagine che si palesa è quasi sempre quella di un uomo. Eroico, titanico, decisionista, narciso, competitivo, talvolta con un linguaggio che se non è “bellico” è sicuramente inflazionato di metafore sportive.
Ecco. Io in questo modello unico di pensiero ci sono sempre stato molto, molto stretto. Mi sono sempre affaticato. E ho visto tante donne e uomini, con un femminile ben sviluppato dannarsi per rientrare in questi panni e linguaggi per scalare i vertici aziendali.
Questo isolamento, questo uomo “solo” al vertice fragilizza chi gli sta intorno e rende tutti, in qualche modo “follower”, seguaci. L’ossessione per la leadership ci porta a costruire organizzazioni totalmente dipendenti dall’iniziativa individuale. Se queste falliscono ecco che sappiamo subito a chi dare la colpa e iniziamo a cercare un leader migliore.
Tre buoni motivi per trasformare, per far evolvere questo paradigma e lasciarci alle spalle qualche maceria, per ricostruire:
- Abbiamo tutti un gran bisogno di fare rete. Di essere connessi, collegati, interdipendenti. Dobbiamo fisicamente sentire la nostra interdipendenza. Per salvare il mondo c’è bisogno di tutti e non solo di piccoli o grandi eroi. Il dilagare del web e dei social network sono un sintomo evidente. Il co-creare, il fare insieme implica l’uso di nuovi linguaggi, il focus sulla presenza, sull’ascolto, sulla dimensione comunitaria. Nella stanza “c’è sempre qualcuna\o che è più intelligente di me e, saper riconoscere questo, ci rilassa, ci rende più gentili, può essere bellissimo. Le nuove logiche orizzontali, le creazioni reticolari implicano lo sviluppo di nuovi linguaggi, di nuove forme di comunicazione. C’è bisogno di rifondare l’economico e trasformare un Ego – sistema in un Eco – sistema.
- Abbiamo tutti un gran bisogno di riunire. Vita e lavoro, maschile e femminile, forza e fragilità, pubblico e privato. Pescare competenze dalla vita e portarle nel lavoro. E viceversa. Questo continuo “spezzarci” in due ha spezzato corpi e morali. Ha creato troppa fatica. Le statistiche sull’infelicità nel mondo del lavoro (dati Gallupp) confermano che il 63% delle persone si dichiarano infelici ed emotivamente disconnessi dal proprio lavoro; un lavoro quasi sempre ammantato da tristezza e pesantezza. Ma come generare abbondanza di relazioni e di profitto in luoghi così ansiogeni, dominati dalla paura e dunque tristi? Può sembrare un’utopia, eppure c’è bisogno di rifondare anche qui. Di ripensare per integrare, per mettere insieme, per generare qualcosa di nuovo.
- Abbiamo un gran bisogno del femminile. Delle donne, degli uomini. Di nuovi uomini. Di nuovi “role models”. Di vedere nuove immagini di donne con bambini anche sul lavoro, di uomini che si occupano della casa e dei vecchi. Di uomini che chiedono congedi parentali per occuparsi dei propri figli. Di donne e uomini che interpretano forme di leadership più naturali. Nel lavoro che ho svolto in questi anni con Riccarda Zezza l’abbiamo chiamata leadership generativa. Quella di chi si occupa di chi “verrà dopo di me”, che vuole rendere più forte l’altro. Che non fragilizza e che non giudica. Che prima di “reagire” cerca di costruire una “relazione”. Comunque.
Mi chiedono spesso quali sono le caratteristiche di questi nuovi modelli e io sono sempre un po’ restio a dare ricette. Ma di un paio di cose sono sicuro:
- sono guide prossime a noi (e non chiamiamole leader!). Sono vicine ma spesso non le vogliamo o non vogliono loro farsi riconoscere. Hanno forgiato competenze e forme di saggezza che provengono dalla vita. Saperi pronti a passare dal privato ai luoghi del lavoro.
- sono impegnati a “prendersi cura” degli altri. E’ per questo che posseggono mix di saperi relazionali, produttivi e trasformativi oggi tanto necessari alle organizzazioni. Sono donne e uomini pronti a venire fuori..allo scoperto!
E’ di loro che c’è bisogno. Scoviamoli, supportiamoli, premiamoli. Diamoci tutti da fare per rendere visibile e immettere nelle organizzazioni montagne di competenze che sono già lì, a disposizione. Rendiamo visibile quella zona cieca, che c’è dentro ciascuna e ciascuno di noi e prendiamo il coraggio di portarla lì. Nelle stanze dei bottoni o semplicemente nei luoghi del nostro fare.
Andrea Vitullo
Andrea Vitullo, dopo essere stato manager in aziende multinazionali, è oggi Executive Coach. Con Inspire www.in-spire.biz, la società da lui fondata nel 2006, realizza progetti trasformativi per le persone nelle organizzazioni. Collabora con le Università di Venezia Ca’ Foscari e di Verona. Insegna yoga e mindfulness. E’ autore di Leadership Riflessive ( Apogeo) e di Leadershit (Ponte alle Grazie). Insieme a Riccarda Zezza ha scritto MAAM- la maternità è un master che rende più forti uomini e donne (Bur –Rizzoli). Maam è anche un percorso di training per promuovere innovazione e nuove forme di leadership all’interno delle aziende. Maam vuole donare nuove immagini per ripensare il lavoro, l’economia.
@inspireitalia